Giuseppe Sottile

Quelli che salveranno
il mondo dei giornali

Al punto in cui siamo ci importa poco della legge sull’editoria. Ci basta sapere che l’informazione ha finalmente una nuova leadership: fresca, gagliarda e soprattutto attenta alle istanze della società civile. Il nostro sol dell’avvenire non è più Assostampa, l’ammuffito sindacato unico dei giornalisti, ma la Stampa parlamentare, l’associazione di colleghi che segue i lavori dell’Assemblea regionale e che ormai – diciamolo – detta legge a chi fa le leggi. Dopo il siluro col quale i franchi tiratori hanno incenerito la proposta di Schifani, i nostri eroi – Alfredo Pecoraro e Elvira Terranova – hanno diramato una nota che ci tranquillizza: a settembre saranno riproposti, oltre ai contributi, anche gli emendamenti a favore dell’occupazione. Dei pagnottisti e della questione morale non si parla. Ma ogni rivoluzione, si sa, ha i..

Lo sputtanato Galvagno
ride, ride e ancora ride

Nel giorno di Paolo Borsellino si mostra ridanciano e divertito alla festa colossal di Totò Cuffaro in quel di San Michele di Ganzaria. E due settimane dopo rieccolo, ancora più ridanciano e strafottente, mentre s’abbraccia con Renato Schifani, il presidente della Regione impallinato dai franchi tiratori. Gaetano Galvagno, sputtanato dalla testa ai piedi da un’inchiesta per corruzione e peculato, non rinuncia alla sua immagine di scavezzacollo, di zuzerellone, di golden boy impunito e impenitente. Beato lui. Delle due l’una: o non capisce di essere politicamente sull’orlo di un precipizio o pretende, con questi ammiccamenti, di confondere le acque e imbrogliare soprattutto i siciliani: quelli che lo hanno eletto e quelli che si sono fidati della Meloni e di Fratelli d’Italia. Non basta un falso sorriso per cancellare due anni di..

Scandali, dalla Meloni
una lezione a Schifani

Giorgia Meloni ha fatto con Manlio Messina ciò che Renato Schifani non ha saputo fare né con Elvira Amata, indagata per corruzione, né con i superburocrati, come Nicola Tarantino o Lucia Di Fatta, che hanno avallato e sottoscritto, negli ultimi cinque anni, gli scempi dell’assessorato regionale al Turismo. Meloni ha emarginato il “Balilla di Cannes” e ha inviato in Sicilia un commissario col mandato ben preciso di stringere all’angolo il clan che, dopo avere bruciato montagne di denaro pubblico, pretendeva pure di dettare legge dentro Fratelli d’Italia; mentre il presidente della Regione non è riuscito a pronunciare una sola parola di biasimo né sugli azzardi della Amata né sull’allegra compagnia degli scandali. Giorgia e Renato: due modi diversi di concepire la politica. La premier trova il coraggio di cacciare i..

L’ultima avventatezza
dell’indagato Galvagno

Sembrava che l’inchiesta per corruzione e peculato lo avesse riportato alla ragione. E che le rivelazioni sulle sue scempiaggini lo avessero spinto a un comportamento meno sbracato. Invece no. Gaetano Galvagno, presidente dell’Ars, continua a sfuggire a ogni regola imposta dalla decenza. E’ un uomo politico a dir poco imprevedibile, avventato, fuori controllo. Non si spiegherebbe altrimenti la tracotanza con la quale – nel pieno di una crisi di immagine e di credibilità – ha imbottito la Fondazione Federico II di sette assunzioni. Tutte clientelari e tutte arbitrarie. Assunzioni decise da lui e da Sabrina De Capitani, l’ape regina che dopo averlo trascinato nel fango ha pure preteso e ottenuto di licenziare, con un colpo di mano, Patrizia Monterosso e di spadroneggiare sui tre milioni di budget assegnati dall’Ars alla..

Il Balilla nei guai
Il partito lo molla

Devono esserci cose molto brutte nell’aria se Manlio Messina, ­capo della corrente turistica di Fratelli d’Italia, ha deciso di abbandonare il gruppo parlamentare del partito. Gli scandali che ha orchestrato da assessore regionale – la truffa di Cannes e gli scempi di SeeSicily – lo hanno travolto. Le nuvole nere che si addensano sulla sua testa sono fitte e minacciose. Nel settembre del 2022, quando Giorgia Meloni gli dava ancora retta, ha cercato riparo nell’immunità: si è candidato alla Camera ed è stato tra i primi eletti a Montecitorio. E’ diventato pure vice capogruppo. Ma la storiaccia di Cannes e le intercettazioni sul telefono di Sabrina De Capitani, la “key-account” che aveva combinato l’affare, l’hanno fregato. Il partito gli ha fatto capire di non essere più disposto a dargli coperture...

I giochi di Galvagno
attorno all’inchiesta

Gaetano Galvagno, spinto nel tritacarne da una pesantissima inchiesta per corruzione e peculato, ha tutto il diritto di invocare la presunzione d’innocenza. Ed è anche libero, liberissimo di preferire la festa di Totò Cuffaro alla commemorazione di Paolo Borsellino, il giudice ucciso dalla mafia. Ma nessuno lo autorizza a imbrogliare le carte nel maldestro tentativo di confondere le idee ai magistrati, ai giornalisti e soprattutto ai siciliani. Per attutire il contraccolpo dell’avviso di chiusura indagine il presidente dell’Ars ha dichiarato che erano cadute “tutte le utilità personali” che gli erano state attribuite. Ha detto una bugia. Perché, a parte i biglietti a scrocco, un noleggio d’auto e il regalo di un vestito, tutti i traccheggi, le indecenze e gli scempi di denaro pubblico orchestrati da lui e dalla sua ape..

Tutti uniti e sputtanati
nell’Ars degli scandali

Gaetano Galvagno, presidente dell’Ars, è nella polvere, schiantato da un’inchiesta per corruzione che chiama in causa lui e il suo cerchio magico. Renato Schifani, presidente della Regione, è nelle sabbie mobili accerchiato dai franchi tiratori: più si agita e più sprofonda. Roberto Lagalla, sindaco di Palermo, è un trombone sfiatato che insegue, senza trovarli, gli spicciafaccende dell’ufficio anagrafe. Diciamolo: il centrodestra è senza speranze, affossato dalla questione morale e dalle faide interne. Ma se Atene piange, Sparta non ride. Anche i partiti dell’opposizione sono diventati impresentabili. Galvagno, dopo averli coinvolti nei giochi proibiti del Consiglio di presidenza, ieri li ha chiamati in correità per le mance. Ormai convocano la stampa per meglio sputtanarsi tra di loro. E la stampa va. Felice di soffiare col suo ventaglio su tutta questa melma.

E sulle cure terminali
tradito il volontariato

Daniela Faraoni ha compiuto un altro passo falso. Il fatto che l’Asp di Palermo sia da sette mesi senza un manager non la preoccupa più di tanto. L’ha lasciata indifferente anche la corsa di sette ispettori sanitari alla Sala Vip di Punta Raisi per capire se la caponata fosse fresca di giornata e avallare così una bizzarra sceneggiata del presidente della Regione. Tutto sommato non la sconvolgono nemmeno le stroncature che piovono sulla sua bozza di rete ospedaliera: se ci avesse messo veramente la testa non avrebbe fatto certe scelte assurde e clientelari. Ha dedicato molto impegno invece alle cure palliative e ha emanato un decreto che apre le porte al business, mortifica il ruolo svolto sin qui dal volontariato e accende, di fatto, un conflitto con le associazioni cattoliche...

Schifani come Trump?
Ricordiamoci di Cechov

"E’ illuso di avere il potere assoluto", sostiene Raffaele Lombardo, accostando le imprese del governatore di Sicilia alle guasconate del presidente degli Stati Uniti, Donald Trump. Forse il leader dell’Mpa sopravvaluta il reuccio di Palazzo d’Orleans. Purtroppo Renato Schifani somiglia solo a Schifani. Ci sono momenti in cui il suo stile presenta venature letterarie. Gli capita – soprattutto nei confronti di Fratelli d’Italia – di partire con parole tronfie che sparano “la coda a ventaglio, come i tacchini” di Pirandello e che poi precipitano in un “obbedisco” descritto a meraviglia da Cechov nel racconto “Dalle memorie di un uomo irascibile”. Ma quando si esibisce in una sceneggiata, come nella Sala Vip di Punta Raisi, perché la caponata non è di giornata, il tratto diventa cinematografico. Sfiora le cime del “Belluscone”,..

Gerenza

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