Sulle accuse a Beatrice Venezi sul fronte artistico nulla ho da dire perché non ne ho la competenza. C’è però un campanello di allarme che suona nella mia testa quando si verifica simile un fuoco di fila sincronizzato contro una artista: ed è, paradossalmente, la mia indole democratica a farlo squillare. Mi chiedo quanto la componente politica pesi su una presa di posizione che con la politica non dovrebbe avere a che fare.

Vado subito al punto. Di scelte partitiche, irritanti, è lastricato lo scenario dei teatri in Italia che vivono, anzi sopravvivono, grazie a figuranti piazzati ad arte col bilancino del manuale Cencelli. Potrei farvi un elenco, ma basta vedere i risultati (botteghino, programmi, eccetera) per farsi un’idea.

Venezi non è la prima e nemmeno il caso più eclatante di artista (o “similare”, teniamo a mente questa parola) che gode di una presunta grazia ricevuta. Non è benaltrismo, badate bene, ma realismo.

Sul “similare” si apre un mondo.

Un teatro non vive solo di sovrintendenti e direttori. Vive di consulenti, di consigli di indirizzo, di responsabili amministrativi, di quadri operativi che contano ben più di un direttore musicale Tutti di nomina politica, tutti espressioni di una classe dominante, tutti simboli di un potere ottriato. Mai nessuno si è sognato di andare a verificare quanti danni ha fatto, chessò, un direttore marketing che sta lì non certo perché ha superato una selezione. Mai nessuno ha calcolato i danni di una stagione fallimentare. Mai nessuno si è curato dei disastri di amministrazioni culturali che obbediscono più alla pancia borghese di una città che alla sua fame di arte.

Da questo punto di vista, cioè da quello politico, il caso Venezi – mi pare – è il coagulo di una stramba resistenza ideologica in cui c’è una donna, giovane, di destra, pure bella (perdonatemi: “bella” ormai è parola di offesa) che magari avrà qualche falla nel suo curriculum, ma che incarna il ruolo ideale di mostro da abbattere. Perché è facile da aggredire con argomenti fuori dalla recensione comune: “È scarsa” e basta.

Ecco, se mi dicono che non ha le capacità per fare il direttore musicale di un teatro, io sto zitto. Ma se le orchestre, gli organismi più follemente sindacalizzati che abbia mai conosciuto, discettano di “nomina imposta dall’alto” insieme a tecnici e impiegati mi viene da ridere.

In un mondo in cui nulla viene dal basso, e anzi ciò che non viene dall’alto è sistematicamente segato, quello di Venezi mi pare davvero un caso minimo.

P.S.
Scritto da uno che non ha certo simpatie e interessi per la destra.