Tra le tante mani che hanno fatto e disfatto la tela di Penelope che ha tessuto gli ultimi giorni del governo Draghi, quella decisiva e più inattesa appartiene a Silvio Berlusconi. Ventotto anni dopo la sua discesa in campo e nove dopo la sua uscita forzata dal Parlamento, la politica italiana si è ritrovata appesa al Cavaliere. E’ lui, o meglio l’eclissi di Forza Italia come partito liberale, moderato, europeista, garantista, centro del centrodestra, etc etc, ad azzerare le residue, flebili speranze per il governo Draghi. Tutto ruota attorno a Villa Grande – il nuovo quartier generale berlusconiano, così distante dai palazzi del potere eppure cuore del via vai del centrodestra – in due estenuanti giornate di incroci telefonici, vertici, mediazioni da tempi supplementari, richieste lunari, esperimenti alchemici, interruzioni e ripartenze. In bilico tra thriller e pantomima. Fino al surreale game over visto in tv dall’anziano leader: Fi “con amarezza” non partecipa al voto, la ministra Gelmini quasi si azzuffa con Licia Ronzulli e poi lascia gli azzurri, il senatore Andrea Cangini vota in dissenso e del suo partito non parla “per questioni di stile”. Continua sull’Huffington Post