Sarebbe poco saggio procedere con un rimpasto di governo nel bel mezzo di una pandemia, senza nemmeno aspettare il “picco” (che arriverà a dicembre). Per questo Gianfranco Micciché, nelle vesti di commissario regionale di Forza Italia – il partito che nel centrodestra non è più di maggioranza relativa, ma di maggioranza strabordante – è tornato a fare la voce grossa nei confronti di Musumeci. In questi giorni meno avvezzo alle tv e, forse, più in vena di ascoltarlo: “Ogni partito ha le proprie esigenze e quindi se chiede di riequilibrare la propria rappresentanza, cambiando qualche assessore, il presidente della Regione non può non tenerne conto”, ha detto Micciché, a margine della presentazione di Daniela Ternullo, la tredicesima rappresentante azzurra all’Ars. Arriva da Ora Sicilia, che nei prossimi giorni dovrebbe perdere anche Luisa Lantieri. Indovinate dove andrà la deputata di Enna, che aveva iniziato la legislatura col Pd? In Forza Italia, ovviamente. Il cuore direbbe Democrazia Cristiana, vista la lunga amicizia con Totò Cuffaro, ma la Balena Bianca per il momento non ha una struttura né dentro né fuori dal parlamento siciliano. Esiste solo sui social.

Così FI salirà a quattordici deputati. Erano dieci fino a una manciata di settimane fa, quando Miccichè ha scalato le marcie alte. Prima strappando Margherita La Rocca Ruvolo, presidente della commissione Salute, agli (ex) amici degli Udc, poi spalancando le porte al ritorno di Marianna Caronia, che era stata eletta con Forza Italia prima di scegliere il Misto, poi la Lega e poi di nuovo il Misto. “Ma non è una campagna acquisti – ha rassicurato il presidente dell’Ars -. Essendo noi il primo partito, mi sembra ovvio che siano in parecchi a voler aderire”. Al di là dello scambio di figurine – dove gli effetti speciali stanno scemando (unica eccezione Figuccia: ieri parlava di Sturzo, oggi è andato con Salvini) – sono le dinamiche interne al palazzo a meritare un’attenzione particolare. Soprattutto nella parte che riguarda la suddivisione degli assessorati.

Forza Italia, il partito di maggioranza “strabordante”, ne ha tre, senza considerare il “dissidente” Gaetano Armao: si tratta di Marco Falcone, che però è un fidatissimo di Musumeci (quasi alla pari di Armao), Edy Bandiera e Bernadette Grasso. Non è un mistero che Micciché punti a sostituire gli ultimi due, considerato che il vicegovernatore è blindato dal patto d’acciaio fra Musumeci e Berlusconi, e che l’assessore alle Infrastrutture è instancabile. Di recente gliel’ha riconosciuto persino il viceministro Cancelleri, che ci litiga da un anno. Grasso e Bandiera, rispettivamente di Messina e Siracusa, andrebbero rimpiazzati con gli esponenti di altre province – Micciché a questa spartizione territoriale tiene parecchio – ma anche le deleghe potrebbero tornare in ballo. Il leader dei berluscones, anche pubblicamente, ha ammesso che non sa che farsene delle Autonomie Locali. E non ha mai nascosto il rammarico di aver ceduto la Sanità a Diventerà Bellissima. Pure Territorio e Ambiente tornerebbero utili, ma Cordaro è un altro che lavora bene, ed è schierato col “partito del presidente”.

Inoltre Micciché deve scacciare i fantasmi della minoranza interna, che un mese fa, con un comunicato, ha tracciato una linea diversa rispetto a quella del suo leader: se rimpasto deve essere, il “come” va concordato insieme. Ma già in passato, replicando alle saette di Marco Falcone, il commissario azzurro aveva spiegato che per farlo diventare assessore non aveva chiesto l’autorizzazione a nessuno. Micce e contromicce che potrebbero scomparire di fronte alla consapevolezza di essere il partito più forte, e quello meglio piazzato alla vigilia del prossimo appuntamento elettorale. Ecco. Le Regionali del 2022 sono l’altro, vero motivo, per cui tutti mettono piede dentro Forza Italia: le ultime Europee, e a ruota le Amministrative di ottobre, hanno dimostrato che il simbolo di Berlusconi tira ancora. Tira sempre.

Chi, negli ultimi mesi, si è dimostrato disponibile a un rimpasto – di deleghe più che di uomini – è la Lega di Matteo Salvini e Stefano Candiani. Semmai dovesse mettersi in moto la macchina dei ricambi, anche il Carroccio spera di poter dire la propria. Resta la ferita aperta dell’Agricoltura, che gli esponenti leghisti avrebbero voluto in primavera, prima della nomina di Samonà ai Beni Culturali. Perde qualsiasi velleità di essere rappresentata in giunta, invece, la compagine di Ora Sicilia, che non è nemmeno certa di ottenere la deroga da parte del Consiglio di Presidenza per “confermare” il gruppo (sceso da 4 a 2 deputati) all’Ars. Chi rischia seriamente un taglio è l’Udc, che vanta gli stessi parlamentari di Lega e Fratelli d’Italia (tre), ma un assessore in più. Uno fra Mimmo Turano e Alberto Pierobon, più probabile quest’ultimo, è a rischio “taglio”. L’assessore alle Attività produttive è coperto da un seggio in parlamento ed è l’ultimo appiglio per non sacrificare lo scudo piccolo – l’Unione dei Democratici di Centro – sull’altare dello scudo grande (la Dc). Mentre sarà difficile scalfire gli equilibri del centro popolare e autonomista, che in giunta è rappresentato da tre assessori: Toto Cordaro, in quota Cantiere Popolare; Roberto Lagalla, per Idea Sicilia (il suo movimento); e Antonio Scavone, rappresentante degli autonomisti, legato al fascino irrinunciabile di Raffaele Lombardo, che alle ultime elezioni Amministrative, specialmente ad Agrigento, ha dato prova della sua scorza.

Ma anche il movimento di Musumeci, Diventerà Bellissima, potrebbe avanzare qualche pretesa (se solo lo volesse). E’ l’unico gruppo parlamentare a non aver mai cambiato forma: sono partiti in sei, e in sei sono rimasti. Ed è anche il solo ad aver teleguidato, con l’intelligenza tattica di Ruggero Razza, la creazione di stampelle ad hoc: prima Ora Sicilia, che doveva essere l’amo per portare Salvini a una federazione che non si è mai concretizzata; l’altra, Attiva Sicilia, formata dai cinque grillini fuoriusciti, che garantirà il sostegno necessario (ma misurato) per portare in fondo la legislatura. Una fidejussione bancaria. Un’assicurazione sulla vita. Attiva fin qui non ha chiesto nulla in cambio, se non di ridisegnare qualche presenza nelle commissioni.

Chi tiene il gioco fermo è Musumeci, che non ha mai ammesso la necessità di un rimpasto, e anzi ha sempre rinviato a data da destinarsi il “ritocco al motore” paventato già l’estate scorsa. Con la pandemia in corso, non è proprio aria. Dopo essersi attirato le critiche feroci per aver messo un leghista (palermitano) ai Beni culturali e all’Identità siciliana, il governatore non vuole commettere altri passi falsi. Non potrà, però, decidere per tutti. Sulla partita dei “contentini” si gioca anche la prossima corsa a palazzo d’Orleans: mentre c’è chi lavora a una successione, sotto traccia ma senza fare sconti, per trovare un candidato alternativo, c’è qualcun altro che lo coccola. “Il candidato è lui – ha detto ieri Micciché – Poi dipende da lui e dagli equilibri della coalizione”. Il sale della politica sono gli equilibri. Ma a Palazzo d’Orleans, per il momento, fanno orecchie da mercante.