Fu come se lo stesso silenzio aprisse inaspettatamente una bocca, sfogandosi per via di parole”. In quell’immenso libro tutto siciliano che si intitola Horcynus Orca, il messinese Stefano D’Arrigo sembra fare la cronaca politica di questi ultimi mesi e giorni. Il silenzio che prima incubava e si macerava nella pancia di Forza Italia ha aperto – inaspettatamente, miracolosamente – la bocca ed è diventato corpo e sangue di un dibattito che Renato Schifani, il re nudo di Palazzo d’Orleans, non riesce più a governare. La sua replica a Giorgio Mulé sta lì a dimostrarlo.
Il presidente della Regione – nel tentativo di allontanare lo spettro di una opposizione interna che ormai mette apertamente in discussione un suo secondo mandato – ha tentato di spacciare Giorgio Mulè, che è il vicepresidente della Camera dei Deputati, come un trovatello della politica. Un figlio di nessuno che, se proprio vuole ottenere nel 2027 la candidatura a governatore della Sicilia, non ha altra strada se non quella di raccogliere le firme tra i passanti perché nessuno dei potenti che siedono a Roma gli darà mai l’investitura. Ma Mulè, con una intervista all’edizione nazionale di Repubblica, ricorda a Schifani che, nell’agosto del 2022, il suo nome era stato proposto da Silvio Berlusconi e che sulla proposta del Cav. s’era registrato l’assenso unanime sia di Giorgia Meloni che di Matteo Salvini. La proposta poi non approdò a soluzione per un inciampo burocratico: Mulé, sicilianissimo, purtroppo aveva trasferito la residenza a Roma. E il centrodestra, per non perdere Palazzo d’Orleans, da dove usciva Nello Musumeci, dirottò di gran fretta – la proposta fu lanciata da Ignazio La Russa – sul nome di Schifani.
Ma Mulè, con l’intervista a Repubblica, non si limita solo a ricordare che Schifani è arrivato dopo di lui, indicato quasi a mezzadria tra Forza Italia e La Russa. La proposta di una sua candidatura alternativa – che al punto in cui siamo non può essere più considerata una boutade estiva – sta di fatto costringendo Palazzo d’Orleans a contare e a pesare i silenzi che, stando alla metafora di Horcynus Orca, “hanno aperto inaspettatamente una bocca” e ora narrano una storia di rabbia e di risentimenti nei confronti di Schifani. Non solo. Quei silenzi dicono ai potenti di Roma che l’insoddisfazione non attraversa solo Forza Italia, dove la fronda è ormai incontenibile, ma coinvolge quasi tutti gli alleati di centrodestra.
Fateci caso: nessuno, tranne il devoto Totò Cuffaro, intende spendersi perinde ac cadaver per una seconda candidatura di Schifani. All’attuale presidente gli alleati concedono – ovviamente, naturalmente – la possibilità di chiudere la legislatura pur tra i tormenti e le insofferenze che si manifestano giorno dopo giorno; e non solo attraverso i franchi tiratori. Ma per il bis i giochi sono aperti, apertissimi. I silenzi hanno parlato. La Sicilia ha bisogno di una svolta, di energie nuove e, soprattutto di una politica fondata su un confronto aperto, leale, trasparente, costruttivo. L’era delle manovre di palazzo e delle mezzadrie, degli scandali e delle scene da avanspettacolo, dei rancori e dei retrobottega non ha più senso ora, figurarsi se sarà mai possibile riproporla per altri cinque anni nel 2027.