Da un lato ci sono i rimborsi della Regione Siciliana: oltre cinquanta milioni di euro spesi per abbattere il costo dei biglietti aerei da e per l’Isola, con un milione di titoli acquistati in un anno e un sistema di sconti che ha toccato, durante le festività, punte del 50 per cento. Dall’altro lato le compagnie aeree, che ringraziano. Perché, a conti fatti, i soldi pubblici hanno finito per arricchire soprattutto loro – le stesse che, secondo le accuse mai provate del presidente Schifani, avrebbero “fatto cartello” – mentre i siciliani continuano a pagare tariffe fuori controllo.

L’ultima relazione dell’Antitrust, pubblicata pochi giorni fa, non lascia spazio a dubbi. L’Autorità garante della concorrenza ha ammesso che servirebbe “maggiore trasparenza” sugli algoritmi di prezzo applicati nei voli per Sicilia e Sardegna, e che si rende necessario un confronto con la Commissione europea per “agevolare la comparabilità delle tariffe”. In soldoni: un passeggero oggi fatica a capire quanto pagherà. Il vero nodo non sono i picchi tariffari nei giorni rossi del calendario – che pure esistono – ma l’opacità delle voci di spesa: bagagli, assegnazione del posto, supplementi e servizi accessori, in un groviglio che può far lievitare il prezzo base anche del 400 per cento.

Altro che emergenza da tamponare col bonus. Se il sistema continua a funzionare così, è anche perché manca un controllo effettivo sulla formazione del prezzo. L’Antitrust lo ha spiegato chiaramente: “Dai nostri approfondimenti è emersa una scarsa comparabilità dei prezzi dei biglietti e dei servizi accessori, da cui derivano significativi costi di ricerca che rendono il consumatore meno consapevole delle variabili del prezzo nelle proprie decisioni d’acquisto”. Eppure, nonostante le denunce di Palazzo d’Orléans, sfociate in un paio di denunce, l’Autorità non ha mai ravvisato “alcuna anomalia di mercato”, né il tanto evocato cartello delle compagnie. Anzi: tra il 2019 e il 2023, i voli per la Sicilia sono aumentati del 16 per cento, contro una media del 19 per cento registrata altrove. Insomma, meno che altrove.

La Regione, però, continua a raccontare un’altra storia. Schifani, durante la conferenza stampa dello scorso dicembre, ha esibito numeri e cifre come trofei: “Un milione di biglietti rimborsati”. Ma a quale prezzo? Nessuno lo sa. Anche perché sul portale SiciliaPei, che gestisce i rimborsi, si trovano solo aneddoti. Episodi isolati, senza contesto. Che bastano a giustificare milioni di euro di denaro pubblico riversati sul sistema. Anche se questo è marcio e, soprattutto, non agevola chi vorrebbe spostarsi da e per l’Isola a superare il gap dell’insularità: cioè i passeggeri.

Il problema è che il bonus rischia di essere una toppa cucita sulla pelle dei cittadini, ma a vantaggio dei vettori. Nessun vincolo per calmierare i prezzi (il governo Meloni, dopo aver palesato mezza intenzione, è dovuto tornare indietro), nessun tetto massimo, nessun incentivo a migliorare i servizi. Anche l’ultima versione del provvedimento regionale ha eliminato il limite di rimborso (prima oscillava fra 75 e 150 euro), portando la scontistica al 50 per cento secco. Risultato: a guadagnarci sono le compagnie, che incassano comunque. E non si sentono tenute ad abbassare le tariffe. Forse, perché non sono mai state così alte? O forse, perché sanno di non avere alcun concorrente reale?

Nel frattempo, si moltiplicano le interlocuzioni istituzionali. L’ultima in ordine di tempo è quella tra Schifani e Sandro Pappalardo, presidente di ITA Airways nonché ex assessore al Turismo della Regione siciliana (l’ultimo prima dell’insediamento della ‘corrente turistica’, dal 2019). Un incontro cordiale, si è detto. Ma di sostanza poca. Nessuna apertura a una revisione dei meccanismi di formazione del prezzo. Nessuna riflessione sui servizi accessori. Nessuna proposta concreta per garantire maggiore trasparenza. Solo parole di circostanza e apprezzamenti reciproci (Ita è stata una delle due compagnie ad aderire al piano della Regione e a garantire i rimborsi già al momento della prenotazione). Come se il problema non fosse strutturale, ma solo passeggero.

E invece il problema c’è, ed è profondo. A partire dagli scali siciliani, che non reggono l’urto del traffico. Basta un guasto, una limitazione logistica, o una gru piazzata male – come accaduto di recente a Fontanarossa – per mandare in tilt la programmazione dei voli. Due estati fa bastò un cortocircuito per gettare nel panico migliaia di passeggeri per quasi venti giorni. La verità è che l’aeroporto di Catania, snodo principale dell’Isola, non è in grado di assorbire i flussi attuali senza interventi strutturali decisivi. Mentre Comiso, governato dalla stessa società di gestione (la Sac), paga lo scotto dell’investimento a perdere: prima del ritorno di Aeroitalia, previsto per la fine di luglio, non è in programma alcun volo verso le destinazioni nazionali. Solo dal 1° novembre dovrebbe tornare a regime – il condizionale è d’obbligo – la continuità territoriale, gestita dalla compagnia che si aggiudicherà il bando europeo.

Nel frattempo, la Regione, attraverso l’assessore regionale ai Trasporti, Alessandro Aricò, ha annunciato gli ultimi risultati del progetto di abbattimento del caro-voli. Solo tra gennaio e aprile sono stati liquidati quasi cinque milioni di euro. “Già mezzo milione di siciliani ha beneficiato della misura”, ha detto Aricò. Ma a fronte di quale beneficio reale? Nessuno, al momento, è in grado di dirlo. Anche perché la domanda iniziale resta senza risposta: a quanto ammonta il prezzo medio dei biglietti rimborsati? In assenza di trasparenza – quella che l’Antitrust invoca – resta solo la propaganda. E un’impressione: che a volare, davvero, siano solo le compagnie.