La fenomenologia di Trump, per ricalcare il famoso ritratto-saggio dedicato da Eco a Mike, è una patologia. Vero che è un tribuno politico di inaudita efficacia. Vero che è spesso buffo e anche spiritoso. Vero che sa concentrare su di sé qualunque occhio di qualunque riflettore. Vero che colpisce per certi aspetti di candore, specie nell’esibizione sfacciata del suo rapporto totalizzante con il denaro (“a tremendous amount of money” è la sua espressione preferita). Vero che i suoi risultati sono discutibili ma la maschera è quella del facitore, del realizzatore, di quello che vince e va in buca. Però è malato. Un uomo che commenta come ha fatto Trump la tragedia di Rob Reiner, di sua moglie e del loro figlio assassino non sta bene. Decisamente, è fuori di senno. Ha bisogno di cure.
Non è un caso alla Roy Cohn, l’avvocato d’affari e di malaffare che ha educato al più spietato e triste cinismo della surenchère un pezzo della classe dirigente americana, e tra questi il giovane Trump: nega sempre, attacca sempre e con violenza, raddoppia sempre e triplica se puoi la posta, punta sempre sull’effetto di intimidazione.
Commentare come ha fatto Trump la notizia di una notte di sangue in cui cadono vittime del pugnale del figlio drogato e matto due persone pubbliche a te politicamente ostili, saltando ogni contegno pietoso o richiamo del silenzio e addossando invece ai genitori assassinati dal povero figlio disgraziato la colpa di averti detestato come metà del tuo paese almeno, insultarli a cadavere caldo come campioni di paranoia affetti dalla Trump Derangement Syndrome, una malattia psichica calibrata sul senso di sé del presidente winner, richiamare la notte dell’omicidio come un parametro per giudicare il tuo successo e l’età aurea in cui hai instradato la storia del tuo paese e del mondo: tutto questo non è normale in alcun senso.
Il problema però non è più Trump, che alla fine ha il tratto psichico che tutti vediamo, il problema è l’America. Esce allo scoperto sui social un fantasma, il commentatore feroce e spavaldo Oliver Kornetzke. Esiste? Non esiste? È una persona? È una creatura dell’intelligenza artificiale? Chissà. Il suo commento all’uscita psicotica di Trump dice tra l’altro questo: “È il distillato malato di tutto ciò che questo paese giura di non essere e invece è sempre stato – arroganza truccata da eccezionalismo, stupidità spacciata per senso comune, crudeltà venduta come durezza, avidità esaltata come ambizione, e corruzione adorata come un vangelo. È l’ombra dell’America fatta carne, un idolo di zucca marcia, la prova che quando una nazione si inginocchia davanti al denaro, al potere, alla perfidia non si limita a perdere l’anima, evacua bensì questa rigonfia oscenità e le dà il nome di leader”.
Sospettiamo che l’autore di queste righe, chiunque sia, non faccia parte della pletora di distaccati esegeti del trumpismo che ogni giorno lo spiegano, lo interpretano e invitano a una comprensione realistica del fenomeno. Per il fantasma Oliver Kornetzke l’America è una truffa ideologica e realizza il suo sogno dando a un truffatore il titolo di leader.
Questi fantasmi. Preferibile e consolante pensare che il sogno americano non sia da sempre un incubo e una mistificazione, e che la politica delle minoranze woke, divenuta fondamento del potere delle élite, abbia prodotto in reazione una maggioranza patologica e il suo capo corrispondente.


