C’è chi chiudeva i porti e chi chiude la porta. Di casa. Come i due pensionati di scena in queste sere a Catania – alla Sala Chaplin – protagonisti di Casa casa, la novità di Nino Romeo, da un quarantennio autore tra i più prolifici della drammaturgia etnea contemporanea con il suo Gruppo Iarba. Che adesso propone questo spettacolo di cui firma pure la regia e del quale sono interpreti Graziana Maniscalco – icona femminile della compagnia – e Nicola Costa, anch’egli da anni della formazione. I due personaggi sono quasi barricati in casa, rifiutano ogni contatto esterno, hanno quasi azzerato quello con i figli, si specchiano soltanto nella tv, hanno praticamente annullato il proprio sociale, in virtù di un’acredine, di un egoismo, di un disinteresse per tutto ciò che accade all’esterno tra timori pinteriani e inedia beckettiana, arroccati nella loro casa-fortino, per l’appunto.

La paura dell’altro – fossero anche consanguinei o parenti – li ha ormai isolati totalmente. «Hai spento il gas?», «Hai mezzo in azione l’allarme?», «Hai lasciato i croccantini al gatto?», «Lo hai staccato il ferro da stiro?». Le fobie del quotidiano domestico si sommano a quelle che potrebbero piombare sul pianerottolo, arrivando da fuori: extracomunitari, ladri, violentatori, perfino i vicini. Rifiutano qualsiasi contatto, il mondo finisce tra quelle quattro mura angoscianti.

Ci siamo davvero ridotti così? «La situazione qui è spinta fino al paradosso e a un finale che non si può svelare ma questa è certo una realtà molto presente nelle città – spiega Romeo –. I due per di più sono cattolicissimi fino ad auspicare un Papa diverso dall’attuale perché troppo aperto, sono palesemente “salvinisti” sulla scia di tutte quelle ansie che l’ex vicepremier ha instillato nella gente, hanno un’arma in casa e anche questo li inquieta da un lato e li rassicura dall’altro, insomma quell’appartamento è un bunker gonfio di umori negativi».

Non è stato facile per i due attori rappresentare, personificare, rendere visibile questo grumo nero di tensione perpetua anche se, dicono, «più che di immedesimarci nei due personaggi, il regista ci ha chiesto di esserne speculari». Come speculare, solo in parte si spera, dovrebbe essere l’effetto della pièce sugli spettatori: guardarsi dall’esterno, riflettersi su quella scena, per guardarsi dentro. Uscendo da teatro, sicuramente, non troppo rassicurati.