Quei democristiani
raccattati da Salvini

Umberto Bossi, vecchio patriarca della Lega, non concedeva attenuanti e bollava i democristiani come “ladroni”. Matteo Salvini, invece, raccatta tutti i democristiani disponibili sul mercato del trasformismo, nella speranza di vivere e sopravvivere con i voti del bianco fiore; un banco fiore appassito, logorato, aduso alle virtù e ai tanti vizi del potere. I nomi dei cosiddetti leader che, alle elezioni europee, andranno ad affiancare il Capitano raccontano storie non sempre edificanti. Prendete Lorenzo Cesa, dell’Udc. Non scandalizza tanto il fatto che sia un recordman del cambio casacca o un reduce – indenne, per sua fortuna – di tortuose inchieste giudiziarie. Preoccupano di più i legami del suo vecchio spicciafaccende con l’avvocato d’affari che cura il retrobottega di Palazzo d’Orleans e che è il punto di riferimento di tutte le..

Un capro espiatorio
per il disastro sanità

Le cronache descrivono, ogni giorno, lo sfascio di ospedali e pronto soccorsi, lo scandalo delle liste d’attesa e il calvario dei pazienti in cerca di una struttura privata che, a metà mese, non abbia già esaurito il budget. Ma la classe politica non si scompone. Tiene in sella un assessore fantasma e mantiene al vertice dell’Asp di Palermo una zarina che non riesce neppure a contabilizzare le prestazioni che risalgono a due, a tre o a quattro anni fa. Poi, all’improvviso, il governo della Regione individua una vittima sacrificale – come la dirigente dell’Ospedale dei Bambini – e si strappa le vesti. Ordina un’ispezione e la sventurata viene impiccata in fretta e furia all’albero della gogna da un manager che, manco a dirlo, è lo stesso che non ha saputo..

Grosso guaio
alla Sinfonica

Non tutti i reverendissimi membri del cerchio magico sono al di sopra della legge. Certo, le figure più opache, come gli avvocati d’affari, resistono perché hanno armi che nessuno riesce a controllare, ma gli altri – se beccati con le mani nella marmellata – prima o poi sono costretti a cedere. Prendete il sovrintendente della Sinfonica, Andrea Peria, fedelissimo di Schifani. Si è insediato mantenendo gli altri incarichi di sottogoverno e sfidando la legge sulla incompatibilità. Messo alle strette dagli organi di controllo, ieri ha tentato l’ultima disperata mossa e ha scritto una lettera con la quale dichiara di rinunciare allo stipendio. Una toppa peggiore del buco: la lettera è un’ammissione di responsabilità. Se il vulnus non si sana, l’assessorato al Bilancio potrebbe addirittura revocare il finanziamento di undici milioni..

Ma questa è la crisi
del re e del viceré

Il Cavalier Patacca – quello che, difronte al disastro, ripete: tutto bene – non sa più che pesce pigliare. Per gettare fumo negli occhi dei giornali si inventa vertici istituzionali e incontri bilaterali: un reliquiario di cose viste e riviste che serve solo per sfuggire alla questione centrale. Che è una sola: i partiti di centrodestra – da Forza Italia a Fratelli d’Italia – non credono più in un presidente della Regione che non ha un programma di governo, che non sa che cosa significa governare e che ha avuto l’abilità, in un solo anno, di avvelenare i rapporti con quasi tutti i leader della maggioranza: da Totò Cuffaro a Raffaele Lombardo, da Nello Musumeci a Marco Falcone. Non hanno più fiducia in un governatore che si lascia guidare dai..

“Ma non c’è crisi”
dice l’on. Patacca

Si credeva unto dal Signore e si era messo in fila per diventare – addirittura – il successore di Silvio Berlusconi. Ma dal vertice di Forza Italia gli hanno fatto capire che non c’è trippa per gatti. Si credeva un principe degli statisti e si era messo in testa di comandare, oltre che nel suo orticello, anche in casa dei partiti alleati. Ma nel giro di una settimana è stato affondato due volte. Dopo appena un anno, Renato Schifani, presidente della Regione per grazia ricevuta, è al capolinea. I pregiati consigli del suo cerchio magico – soprattutto di quell’opaco avvocato d’affari che risponde al nome di Gaetano Armao – lo hanno allegramente consegnato al disastro; al disastro politico, va da sé. Se avesse coraggio e rossore, dovrebbe trarre le conseguenze...

Il mistero della Faraoni
nella nebbia della sanità

Non sapremo mai per quali meriti – o per quale mistero glorioso – Daniela Faraoni sia stata riconfermata al vertice dell’Asp di Palermo, l’azienda sanitaria più grande e più sfasciata della Sicilia. Lei sarà anche Nostra Signora delle Grazie, ma la gestione dei servizi fa rabbrividire. I suoi uffici, pur avendo i fondi in cassa, non pagano. I convenzionati esterni vantano addirittura crediti del 2019, sperano ancora nella rimodulazione del budget per il 2022 e per il 2023, dovrebbero incassare pure i soldi provenienti dalle cosiddette economie e le somme stanziate per le liste d’attesa, tanto tambureggiate da Schifani. A ottobre era partita anche una roboante lettera dei vertici dell’assessorato che invitavano l’Asp a disporre i pagamenti entro novembre. Ma siamo a febbraio e non si è visto un euro...

Se la musica affianca
i giochi della politica

Leonetta Bentivoglio, su Repubblica, l’ha scorticata. Fabrizio Roncone, sul Corriere della Sera, l’ha fatta a pezzi. Dagospia l’ha chiamata “Bacchetta nera”. Il podio della Sinfonica siciliana è stato, per Beatrice Venezi, una piccola Waterloo. La giovane direttrice d’orchestra credeva che la Sicilia fosse un lungo tappeto rosso. I gerarchi di Fratelli d’Italia erano ai suoi piedi, l’amicizia con Giorgia Meloni le apriva tutte le porte. Ovviamente le ha spalancato pure il portone della Sinfonica, un feudo di sottogoverno. Ma qui la patriottica Beatrice incontra un sovrintendente traballante che, per puntellare se stesso, la sovraespone, manco fosse Herbert von Karajan; e alcuni orchestrali che invece avanzano seri dubbi sulla sua direzione musicale. L’incanto si spezza e l’inciampo di Palermo finisce per dilagare sulla stampa nazionale. E’ la politica, bellezza.

Il gerarca non molla,
Schifani ballerà ancora

Ha fatto la marcia su Roma non con le camicie nere, non con gli arditi, non con gli squadristi degli assalti al sindacato. Ma con i piccioli del turismo. Intanto con i ventitré milioni di SeeSicily distribuiti a Mediaset, alla Rai, al Corriere e alla Gazzetta di Cairo. E poi con altri milioni sperperati al festival del cinema di Cannes, e altri ancora spesi con un context dedicato a Vincenzo Bellini e zeppo di consulenze pagate a peso d’oro. Ma il seggio di Roma non gli dà le soddisfazioni che gli dava la Regione, regno di piccioli e clientele. Ed è per questo che il Balilla, già capo della corrente turistica, ha deciso di troneggiare sull’intera Sicilia, di prendersi tutto il partito e, con il partito, il potere che discende..

Qui tutto finisce
a tarallucci e vino

Dopo un anno vissuto pericolosamente tra narcisismi, rancori e boriosi giri di valzer, i gerarchi di Fratelli d’Italia si sono resi conto di avere elevato al trono di Sicilia un anziano signore con tanti lustrini ma del tutto incapace di governare. Il melodramma che si è consumato l’altra sera a Sala d’Ercole – voto segreto, sconfitta, fuga di Renato Schifani – ha risvegliato una parola grossa: crisi. Solo che per cacciare da Palazzo d’Orleans il presidente Schifani e la sua giunta di figurine sbiadite, bisogna sciogliere l’Assemblea regionale. Con la conseguenza che ogni deputato dovrà rinunciare al seggio, conquistato a fatica nel settembre del 2022, e attrezzarsi per una nuova e costosa campagna elettorale. Chi degli intrepidi patrioti avrà il coraggio del salto nel vuoto? “I nodi vengono sempre al..

Spocchiosi e bastonati
Cara Giorgia, aiutali tu

Se fossi Giorgia Meloni – hic genuflectur – getterei subito un occhio sui patrioti di Sicilia. Per carità, il partito miete consensi, tiene in mano importanti leve di governo, mette becco in quasi tutti gli incarichi di sottogoverno, amministra grandi città come Palermo e Catania, controlla teatri e istituzioni culturali. Ma c’è un ma. I gerarchi di Fratelli d’Italia non riescono a dominare la propria arroganza. Non gli basta il potere: vogliono esercitarlo con la spocchia dei vincitori. Vogliono dettare le regole agli alleati, vogliono calpestare le ragioni degli oppositori. Con la sanatoria proposta all’Ars per evitare la decadenza di tre deputati ineleggibili, hanno provato a forzare il gioco parlamentare. Ubriachi di supponenza, non hanno calcolato però le conseguenze del voto segreto. E sono usciti con le ossa rotte: sconfitti..

Gerenza

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