Che succederà al centrodestra in Sicilia quando a Roma, come dice Salvini, si è sciolto come neve al sole?

Non è certo questo il problema che appassiona i siciliani, che rende le loro notti insonni. Ma la politica che, da tempo, non intreccia i problemi della gente, ruota attorno a questi giochi di palazzo e i mezzi di comunicazione sono costretti a fare da megafono.

A Musumeci basterà la “bolla” meloniana per ottenere la sua ricandidatura? Quesiti di fondamentale importanza e a soluzioni multiple. Per capire come finirà, occorre attendere che si concluda il “balletto” nella maggioranza che al mattino litiga e al pomeriggio si ritrova unita al tavolo del potere. È necessario vedere se l’elezione del presidente della Repubblica e la prosecuzione del governo Draghi, con la destra divisa e in forte competizione, hanno segnato davvero la fine del centro destra, se ci sarà una dislocazione diversa delle forze che lo compongono, oppure se il loro rapporto si consoliderà. Con ogni probabilità la conclusione sarà questa, specialmente se rimarrà l’attuale legge elettorale e se la prospettiva del “grande centro” continuerà ad essere un fastidioso chiacchiericcio, un insieme di velleità e nostalgia, l’ambizione di molti generali che vorrebbero conservare la “greca” anche senza avere truppe. Può succedere che Casini dia una mano per individuare quel luogo, che, a mio parere, non c’è più dai tempi della Democrazia cristiana. Può anche capitare che Berlusconi finisca per essere coerente davvero con le posizioni del Partito popolare europeo che spesso richiama, dimenticando che i partiti di centro a Bruxelles, a Berlino, a Parigi, a Madrid e ovunque in Europa, sono o alleati con la sinistra o nettamente alternativi alla destra, a quella estrema in particolare.

Torniamo in Sicilia. Qui l’insieme dei gruppi che si proclamano di centro avrebbe una consistenza maggiore che a Roma. E qui si ripetono con frequenza stridente i proclami di chi ha nostalgia della Democrazia cristiana e la vuol fare rivivere, di chi, comunque, da lì proviene, dalle sue seconde file, essendovi arrivato nel corso delle sue ultime, non entusiasmanti prove, quando valori e cultura avevano ceduto interamente alla sopravvivenza, al tirare a campare, alla gestione dell’esistente.

Da anni queste forze, tranne quella di Cuffaro, stanno comodamente intruppate con la destra, da fedeli vassalli, compensati in modo adeguato con assessorati e potere. Ove mai davvero l’Udc, Cantiere popolare, il movimento di Lombardo, la nuova Democrazia cristiana e quant’altro si dichiara di centro, riuscissero a trovare un territorio comune, rinunciassero alle tranquille posizioni di retroguardia per mettersi insieme e far valere un protagonismo proprio, dovrebbero uscire dalle furerie, il posto dove si tengono foraggio e vettovaglie, per occupare le prime linee della battaglia con tutti i rischi che questo comporta, anche quello di mettere in gioco il potere. Ma solo così si può cambiare l’assetto politico regionale in vista delle prossime scadenze elettorali davvero con un ruolo da protagonisti.

Non è un esito probabile. Alla guida di ciascuno dei cespugli di centro vi sono persone rispettabili che hanno costruito e mantenuto il loro futuro con piccole formazioni, rimanendo sempre un passo indietro. Se, poi, anche in Sicilia, il centro destra si sciogliesse come neve al sole, un processo che potrebbe essere favorito da Miccichè se decidesse da che parte stare, se smettesse di dare ripetute punture di spillo e assumesse il ruolo di federatore del centro, potrebbe essere scritta una pagina nuova della politica. Il processo appena delineato o immaginato, interesserebbe non poco il centro sinistra. Se ci fosse. Se desse prove dell’esistenza in vita, se venisse individuato come possibile interlocutore. Nelle condizioni nelle quali si trova, tutta la partita viene, invece, giocata dagli altri che possono anche avere le convulsioni al loro interno e non pagano pegno.

Il centrodestra può sciogliersi o consolidarsi.

Il centro può rimanere gassoso o trovare finalmente il luogo dove diventare visibile e “grande”. Il Pd e il Movimento Cinque stelle, intanto, continuano a discutere se fare le primarie, a chi intestare la candidatura a sindaco di Palermo, restando nel letargo, e il “campo largo” si riduce ad una “grasta” sul balcone.

Così come stanno le cose, quelli della destra possono presentare anche due candidati per Palazzo delle Aquile: uno vince, l’altro arriva secondo.