Forza Italia rimane un partito diviso tra i filogovernativi e la fronda dei murati vivi. Ma fra chi comanda e chi protesta, colpisce (non più di tanto, per la verità) un’assenza conclamata: quella dell’europarlamentare Caterina Chinnici. Completamente scomparsa dai radar del partito e, cosa peggiore, da quello dei suoi elettori. Dopo aver conquistato il seggio in Europa per gentile concessione di Edy Tamajo (risultato primo), a seguito della moral suasion di Antonio Tajani – cioè colui che la convinse a lasciare il Pd per Forza Italia – la Chinnici ha fatto esattamente quello che ci si attendeva da lei: sparire.
L’europarlamentare, che è volata per la terza volta a Bruxelles e Strasburgo e maturerà per questo un lauto vitalizio (da 21 mila euro al mese), non partecipa al dibattito interno, di rado si interessa delle questioni siciliane, e si distingue solo per la sua attività di rappresentanza. Partecipa a iniziative per la legalità nelle scuole, inaugura sale dedicate alla memoria del padre, rimarca il valore della memoria: tutte opere meritevoli. Per il cognome che porta. Ma da un politico eletto in Europa ci si aspetterebbe di più. Ad esempio un contributo fattivo sulle vicende che la circoscrizione – Sicilia e Sardegna – che ti ha concesso il pass per questa avventura.
Invece, nada. È vero che il Parlamento europeo ti toglie la verve dell’azione politica. Prendete Marco Falcone: per tenersi “in forma” rivendica la candidatura di un proprio rappresentante al prossimo congresso regionale di Forza Italia, ma la sua partecipazione al dibattito interno è viva e incisiva, dal momento che assieme ai pochi “ribelli” rimasti (Mulè e Calderone) auspica una gestione più partecipata e condivisa della cosa azzurra; oppure Razza, che oltre alla difesa d’ufficio dell’operato del governo Meloni, ha trovato il tempo di scrivere un libro. In Europa puoi svernare o risorgere. Ma svernare per la terza legislatura di fila è da furbacchioni.
L’onorevole Chinnici non aveva brillato granché neppure nel corso delle primarie del 2022, quando la candidata alla presidenza del Pd, di fronte all’insistenza di certi cronisti – della serie «dici qualcosa di sinistra» – aveva evitato accuratamente di muovere critiche verso l’operato del governo Musumeci. Vinse comunque quella competizione, ma perse il sostegno dei Cinque Stelle e arrivò terza nella competizione per Palazzo d’Orleans, superata da Schifani e da Cateno De Luca. Poi, quasi all’improvviso, il cambio di rotta e di partito: non si rivedeva nel nuovo segretario Elly Schlein.
Torniamo all’attualità. Qualche risposta su Chinnici dovrebbe darla chi l’ha accolta (Forza Italia la presentò a Milano, in tandem con Rita Dalla Chiesa, a maggio 2023: c’era ancora Berlusconi vivo), ma anche chi l’ha fatta votare. Schifani – diciamocela tutta – nella primavera 2024 non ebbe granché da esultare per questa presenza esterna, per di più nel ruolo di capolista. Ma alla fine della campagna elettorale, per evitare una figuraccia al segretario Tajani, dovette inventarsi un’inversione a U e provare a dirottare qualche voto sulla magistrata in aspettativa.
Chi aveva scelto di sostenerla dal primo momento era stato invece Raffaele Lombardo assieme al suo Mpa. Se Chinnici ha avuto 93 mila preferenze è anche (e soprattutto) merito loro. «Siamo stati, di gran lunga, i maggiori sostenitori della scelta del segretario nazionale Antonio Tajani di affidare all’onorevole Chinnici il posto di capolista nel collegio della Sicilia e della Sardegna – disse Lombardo, rinfrancato –. Mentre va tenuto presente che a cercare di intaccare il valore di quella scelta si è operato mettendo in campo certe terzine “ad excludendum” della capolista». Non poteva mancare la polemica annessa… Poco male. «Lo straordinario impegno di amministratori, dirigenti e militanti e di tantissimi giovani e donne che si sono ritrovati in questa campagna elettorale attorno a Caterina Chinnici, chiede di potere esprimere più efficacemente il programma autonomista nell’alveo di Forza Italia e del Partito Popolare Europeo», proseguiva Lombardo.
Che di fatto aveva piazzato una bandierina nel campo di FI e da quel momento – forte anche della federazione siglata con Antonio Tajani – avrebbe cominciato a richiedere con forza il riconoscimento di alcune contropartite: non da ultimo, la concessione di un secondo tassello in giunta. Probabilmente, però, manca una domanda alla Chinnici: cos’ha fatto di concreto per portare a Bruxelles le battaglie autonomiste? Come ha contribuito a far attecchire il pensiero del Mpa all’interno delle istituzioni europee? Quali sono le battaglie attraverso cui avrebbe restituito qualcosa – un’iniziativa, un’idea, una proposta durevole – agli oltre 90 mila elettori che l’hanno scelta?
Su questo aspetto, probabilmente, gli autonomisti non avranno mai alcuna risposta. Né i forzisti potranno bearsi della presenza di una figura di questo calibro a Bruxelles. Più si analizza la questione, più i nodi rischiano di venire al pettine: non è che l’elezione della Chinnici – peraltro soffiando il seggio a Tamajo – sia servita soltanto alla diretta interessata per ritagliarsi un posto nel paradiso della politica? Lontana dai riflettori e dai guai che, ogni giorno, assillano le istituzioni made in Sicily? Se ne riparlerà, forse, fra meno di quattro anni.