Alcune di quelle che hanno sfilato sul red carpet di Venezia 77 arrivavano dritte dritte dalla Maria De Filippi’s Factory. A parte Emma – che ha avuto un buon esordio sul set con «Gli anni più belli» di Muccino – negli annali del cinema le altre risultano quasi n.p., non pervenute, come accadeva spesso alle temperature di Campobasso nelle previsioni meteo di Bernacca, o transitate su piccolo e su grande schermo per caso. Non pervenuta Elodie – pur strepitosa interprete della nuova canzone nostrana – che faceva coppia sul tappeto rosso col fidanzato, il rapper Marracash, appena di straforo Alice Bellagamba che da quella scuola televisiva uscì ballerina ma si trasformò in attrice di fiction. Arisa, partita anche lei dal capolinea della canzone (Sanremo), forse ha sbagliato fermata ed è scesa al Lido, Tania Cagnotto ci sarà arrivata a nuoto tuffandosi dal Ponte dei Sospiri piuttosto che dal trampolino, Cecilia Rodriguez da casa della sorella Belen, l’altra Rodriguez, Georgina, che già a Sanremo aveva dato prova della sua pregnante aleatorietà, da casa del compagno, il goleador Ronaldo. Più la cantautrice Levante e il cantautore Diodato, separati da tempo nella vita e qui pure sul tappeto. E ancora una serie di starlette sempre pronte a mostrarsi scostumate negli spacchi inguinali o angelicate da improbabili alette di tulle, modelle tricolore che facevano tanto parata del 2 giugno ai Fori che mancava solo Mattarella, barocche o distinte pensionate Enpals, dalla chiffonata Sandra Milo alla intailleurata Corinne Clèry, più una serie di attrici per lo più note a casa loro, di difficoltosa identificazione («ma chi è quella?») che a confronto Madalina Ghenea e Matilde Gioli (che ha fotocopiato con la sua mise la Charotte Rampling di «Portiere di notte») apparivano gigantesse. Hanno vinto facile, allora, la presidentessa di giuria, Cate Blanchett, e la “madrina” Anna Foglietta, fotografatissime forse per la loro stupefacente sobrietà più che per i ruoli ricoperti in Laguna. Perfino quel che resta della simbologia del Potere (il ministro Franceschini e signora, l’ex vicepremier selfista Salvini e fidanzata, labbra su labbra posate in motoscafo) sono quasi sembrati meno simulacri del resto della compagnia.

Com’è triste Venezia col red carpet senza divismi veri, animato per lo più da influencer di Instagram, da uno spettacolismo generico, un tanto al like, più variegato di un menù di sushi, affollato in gran parte da signorine dabbene catapultate nella notorietà grazie a schiere di followers ma mai entrate in una scuola di recitazione o su un set. In pompa magna, la Mostra del Cinema come metafora del triste paradigma delle luci (fioche) del varietà al tempo del Covid, coi fotografi allineati come scolaretti, redarguiti da servizi d’ordine che non tutelavano spavaldamente star internazionali ma dovevano mestamente ma con rigore far rispettare distanze di sicurezza sanitaria, fans ormai classificati come specie in via d’estinzione, non più transenne un tempo debordanti di fanatici del selfie e della stretta di mano o di un ardimentoso bacio, della penna e bloc-notes uso autografo, masse sudate e urlanti e lo stesso pubblico delle proiezioni tu qui e io lì, una poltrona sì e le due accanto no, insieme solo se si è congiunti nella vita o in arte.

La finzione della finzione, un po’ come il Covid ha costretto tutto il resto dello show, dal cinema in piazza alle serate ballettistiche, dai festival si fa per dire alle rassegne di musica da camera. Tutto scalando di marcia, scendendo giù di più toni, l’applauso di cinquecento che magari applaudivano per mille-e-cinquecento ma che, sparsi qua e là, sempre cinquecento son rimasti.