Un solo grido si leva dalla Sicilia: commissariate il commissario. Perché se è vero che Renato Schifani è già commissario per il piano di ammodernamento dell’autostrada A19 e per il completamento della rete impiantistica integrata per la gestione dei rifiuti (con cui dirige l’iter dei termovalorizzatori), allora è giunto il momento di commissariare anche lui. Non tanto per eccesso di potere, ma per difetto di governo.

Nell’isola delle emergenze permanenti – dai rifiuti all’acqua, dalla sanità ai Consorzi di bonifica – l’unica istituzione rimasta senza guida è la politica. E a dirlo, con sfumature diverse ma con la stessa rassegnazione, sono stati nelle ultime ore Carlo Calenda (eletto in Sicilia e leader di Azione) e Manlio Messina, fresco di “metamorfosi” (da FdI a strenuo oppositore di Schifani).

Calenda, da Catania, ha detto che “lunedì presenteremo una proposta di commissariamento della Regione per ciò che concerne la Sanità e la gestione dell’acqua e dei rifiuti. La battaglia sulla Sicilia, perché i siciliani abbiano servizi decenti, è una battaglia prioritaria di Azione, perché il nostro lavoro è questo”. “Bisognerebbe azzerare il rapporto tra politica e spesa del denaro, perché quella cosa lì provoca solamente corruzione e alla fine servizi pietosi, che non vanno bene”, ha proseguito l’ex Ministro. La replica di Schifani, arrivata in conferenza stampa a Palazzo d’Orléans, è priva di sostanza: “Calenda? Parliamo di cose serie, per esempio come il governo in tre anni ha azzerato il disavanzo portando il bilancio in surplus di 2,5 miliardi di euro”. Soldi che verranno spesi solo nel 2026, dopo che la Corte dei Conti avrà finito di parificare i rendiconti. Non prima.

Ma a rincarare la dose, questa volta da destra, è arrivato anche l’ex assessore al Turismo Manlio Messina. Da qualche giorno – precisamente da quando Nello Musumeci ha auspicato il suo ritorno tra i meloniani – l’ex vice capogruppo di FdI alla Camera è mosso da vis polemica. Anche lui invoca un commissariamento, ma per ragioni diverse: “I dati parlano chiaro: la Sicilia è ferma. I progetti del Pnrr non avanzano, la spesa è bloccata e secondo le stime diffuse oggi rischiamo di perdere oltre 11 miliardi di euro destinati a infrastrutture, scuole, sanità e servizi ai cittadini. La responsabilità di questo fallimento ricade direttamente sul presidente Renato Schifani. Chiederò al Governo nazionale, attraverso una interrogazione parlamentare al ministro competente Tommaso Foti, di attivare tutte le azioni di supporto, controllo e vigilanza necessarie, fino alla possibilità di commissariare la gestione dei progetti Pnrr. Bisogna evitare che miliardi di euro vadano perduti”.

La polemica di Messina si inserisce nel solco scavato dallo stesso Schifani, che qualche giorno fa ha richiamato i burocrati segnalando forti preoccupazioni sulla (in)capacità di spesa dei dipartimenti (appena il 26% dei fondi finanziati col Pnrr). Avremo pure il bilancio in ordine, ma il sistema è allo sfascio. La sanità, vincolata da 18 anni a un Piano di rientro che strangola gli investimenti, deve fare i conti con la carenza di medici e una rete ospedaliera appesa a un filo; la rete idrica fa acqua da tutte le parti e non riesce a garantire la sopravvivenza economica di agricoltori e allevatori; i termovalorizzatori sono ancora allo striscione del via; i fondi europei vengono spesi col contagocce. L’impressione è che non servano più commissari, ma un curatore fallimentare.

Nel frattempo, i 70 deputati dell’Ars, in attesa dei dodici supplenti, hanno deciso di non mettere più piede a Palazzo dei Normanni fino a quando non partirà l’ennesima battaglia sulla Finanziaria. Per le cose serie non c’è tempo. E nemmeno per le cosuzze (come la riforma degli enti locali che dovrebbe garantire una rappresentanza di genere del 40% nelle giunte dei Comuni). L’unica eccezione – forse – è il disegno di legge depositato dalla DC per l’abolizione del voto segreto (ma bisogna essere certi dei numeri, o è improbabile che varchi il portone di Sala d’Ercole).

Ebbene, in attesa di rianimarla, l’Assemblea regionale è diventata una location da affittare: per gli spettacoli, per i banchetti (come quello promosso dall’Aci – presidente Geronimo La Russa – per 400 invitati), per gli eventi di gala. Lo scorso Natale ospitò il concerto di Katia Ricciarelli, in pieno Senato style. Se ne potrebbe fare comodamente un centro congressi per tour operator, visto che ha smesso da tempo di legiferare.

A completare il quadro c’è il presidente dell’Ars, Gaetano Galvagno, ancora alle prese con l’inchiesta per corruzione. Né l’indagine né le intercettazioni della Guardia di Finanza, con i finanziamenti distribuiti a parenti e amici, sembrano aver lasciato traccia. Il “golden boy” di Fratelli d’Italia continua a comportarsi come se Palazzo dei Normanni fosse casa sua. C’è anche un’inchiesta di Report, di fronte alla quale il delfino di La Russa è ricorso ai termini alti: “La corruzione sta in un rapporto sinallagmatico, in un comportamento condizionato o influenzato da una promessa. Ma me lo dovessero provare che ho un accordo preventivo con qualcuno”. Nel frattempo, il sito dell’Ars – quello dove dovrebbe comparire la lista aggiornata dei contributi erogati dalla Presidenza – è fermo a luglio. In barba alla trasparenza e al decoro istituzionale.