I Comuni siciliani sono con l’acqua alla gola. E’ il caso di Palermo, che non riesce ad approvare il Bilancio di previsione 2021-23 e studia metodi innovativi per contrastare l’evasione fiscale (come l’inserimento della Tari in bolletta); ma anche di tanti altri, alcuni piccolissimi, che faticano sotto il profilo della sostenibilità finanziaria. L’Anci, con un documento unitario, ha rivolto un grido d’allarme ai piani alti – già accolto da Enrico Letta, segretario nazionale del Pd – per chiedere maggiori risorse e meno vincoli, allo scopo di poter garantire i servizi essenziali ai cittadini (ed evitare il default). Alla battaglia senza voce dei sindaci si è unito nelle ultime ore Antonello Cracolici, deputato regionale del Partito Democratico, che si è fatto portavoce di una mozione all’Ars per “sostenere in tutte le forme possibili i principali avamposti della nostra vita democratica. I Comuni sono pezzi dello Stato, ma non di Serie C”. La situazione è più critica di quanto non si pensi, e la pandemia non ha fatto altro che aggravarla. Al 31 maggio, soltanto 32 Comuni su 390 sono stati in grado di chiudere il Bilancio.

Onorevole Cracolici, è fin troppo ovvio tirare in ballo il Covid. Ma cos’altro è cambiato nella vita dei Comuni nell’ultimo periodo?

“Sono stati gli enti più penalizzati in termini di entrate trasferite. Mentre le attività a loro carico, negli ultimi anni, sono nettamente aumentate, i trasferimenti sono crollati. Pensi che quando diventai parlamentare regionale, nel 2001, la Regione versava ai Comuni 970 milioni l’anno. Nell’ultimo Bilancio, invece, ne sono stati stanziati 330: di cui 50 a copertura del fondo di riserva, che è destinato soltanto a una parte di essi; e 10 per la stabilizzazione degli Asu, che sarà la Regione a gestire. A disposizione dei sindaci rimangono 270 milioni. Un quarto della somma di vent’anni fa. E poi ci sono le entrate dirette…”.

Quelle garantite dal pagamento dei tributi, che oggi però si scontra con un sistema di riscossione farraginoso e con un’evasione fiscale fuori controllo…

“Durante la pandemia i cittadini hanno fatto più fatica a pagare. Non parlo soltanto della Tari, dell’Imu sulla seconda casa, ma anche dei servizi a domanda individuale. Un esempio banale: meno gente compra il biglietto dell’autobus, ma i Comuni sono comunque tenuti a garantire le corse. A questo si aggiunge una norma frutto del Patto di Stabilità, che obbliga gli enti ad accantonare una somma pari ai crediti di dubbia esigibilità”.

Si spieghi.

“Se un cittadino non paga le tasse, non solo il Comune non riceve quei soldi, già iscritti nel capitolo ‘entrate’; ma deve accantonare una somma pari a quella non riscossa. La beffa è doppia, giacché alla mancata entrata si aggiunge l’impossibilità di utilizzare risorse ordinarie già a disposizione. Questo rischia di far collassare il sistema. Se ci mettiamo i costi aggiuntivi per servizi extra, come il trasporto e il conferimento dei rifiuti fuori dal proprio ambito di prossimità, capisce bene che la situazione è al limite”.

Sui rifiuti ci torneremo. Ma quel è l’impatto reale di questa emergenza?

“Che molti Comuni sono sull’orlo del default e non riescono ad approvare i Bilanci. Non per pigrizia, ma perché non si può approvare un bilancio senza copertura… Le ricordo, inoltre, che queste scelte hanno varie refluenze: ad esempio, incidono sul personale e sul depauperamento delle professionalità interne. Col risultato che i Comuni non riescono più a fare progettazione, o ad accedere agli investimenti. In definitiva: non si può scaricare la crisi del sistema della contabilità sull’ultima ruota del carro. Questo è uno dei motivi per cui si fa sempre più fatica ad individuare profili politici che vogliano farsi carico della gestione amministrativa dei Comuni. Il rischio è che a governarli finiscano solo gli sfaccendati”.

La Regione, con la manovra finanziaria dello scorso anno, aveva individuato un fondo di perequazione da 263 milioni per compensare le minori entrate dei Comuni a causa della pandemia…

“Ma quei soldi, ripartiti nel dicembre scorso, non sono stati ancora erogati. Eppure i Comuni li avevano già iscritti in Bilancio, quindi è come se li avessero già ricevuti. Questo comporta il ricorso a cospicue anticipazioni di cassa: le banche che si occupano di tesoreria, anticipano – con oneri finanziari connessi – somme che la Regione non ha ancora erogato. E’ come un cane che si morde la coda”.

Orlando, a Palermo, ha pensato di inserire la Tari nella bolletta dell’energia elettrica, valutandola un’utile iniziativa di contrasto all’evasione fiscale. Lei è d’accordo?

“Vede, il ragionamento va allargato al sistema di riscossione: così com’è, non funziona. L’ipotesi della bollettazione, invece, può essere utile perché determina una sorta di partecipazione “coatta”. Chi paga la Tari ne avrà un beneficio, perché potrà rateizzare meglio i pagamenti; chi non lo fa, è ovvio che protesta. Bisogna trovare uno strumento – e deve essere lo Stato a occuparsene – che consenta di individuare i tanti elusori. Ce ne sono di due tipi: chi non paga affatto, e chi paga meno di quanto dovrebbe. C’è una questione che riguarda la riscossione, e un’altra che riguarda la trasparenza dei meccanismi che portano al pagamento. Su cui tutte le Amministrazioni dovrebbero vigilare”.

Cosa proporrà in questa mozione d’aula?

“Secondo me, considerata l’emergenza attuale, i Comuni devono essere autorizzati a utilizzare il fondo di accantonamento dei crediti di dubbia esigibilità. Non capisco perché l’Unione Europea e gli Stati membri possano derogare al Patto di Stabilità, mentre fra i Comuni e lo Stato di riferimento permangano questi vincoli. Inoltre c’è un tema che riguarda i limiti statutari connessi all’autonomia: la Regione deve aprire una trattativa con lo Stato affinché i Comuni possano accedere al Fondo nazionale di riequilibrio dei fabbisogni standard, proprio come avviene nelle regioni a statuto ordinario”.

A che punto siamo sul tema dei rifiuti?

“All’anno zero. Nessuno ha spiegato quali impianti realizzare e per farci cosa”.

In realtà il piano dei rifiuti è stato adottato dalla giunta.

“Tutte chiacchiere. In Sicilia produciamo ogni anno da 2 a 2,5 milioni di tonnellate di monnezza. Di certo non possiamo mangiarla. Al di là dell’ampliamento delle solite discariche, sotto il profilo dell’impiantistica non si è fatto un solo passo avanti, non si è messa in campo alcuna strategia. Io non mi scandalizzo se i rifiuti vengono portati fuori dalla Sicilia, ma solo se è il frutto di programmazione. L’emergenza, al contrario, è un alibi per continuare ad abbancare sempre negli stessi posti”.

C’è l’ipotesi dei termovalorizzatori.

“Su questi temi sono molto laico. Ma stiamo parlando di qualcosa che in molte parti d’Europa non esiste nemmeno più. Realizzare gli inceneritori significa mettere la polvere sotto il tappeto, far credere ai cittadini che bruciando i rifiuti abbiamo risolto i problemi. Senza tener conto dei rischi che ciò potrebbe determinare per l’ambiente e per la vita di ognuno di noi. L’approccio, ancora una volta, è sbagliato”.

Lei ha detto nei giorni scorsi che il ritorno di Ruggero Razza alla Sanità, per Musumeci significa perdere la faccia. Detto che un assessore serve, qual è il suo profilo ideale? Un tecnico, per esempio?

“Non è detto che un medico sia in grado di governare un reparto”.

E quindi?

“Per governare la sanità serve una visione politica. Se non ce l’hai, non basta neanche Mandrake… Sulla sanità stiamo pagando il prezzo di una gestione schizofrenica, in cui prevale la logica del consenso. E’ la stessa che ha provocato l’incidente che portato alle dimissioni di Razza. La paura di perdere consenso ha fatto deragliare il sistema. Io penso che serva una persona perbene, in grado di offrire una prospettiva di governo. L’esecutivo di centrodestra, pur potendo adottare – dato il periodo d’emergenza – misure fuori dall’ordinario, non ha saputo dare la scossa. Parte dei direttori generali nominati dalla politica, sono finiti arrestati o commissariati. La classe dirigente sulla quale aveva investito Musumeci si è rivelata inadatta. Tutto questo perché mancava una visione”.