Il primo ad ammettere che qualcosa non sta funzionando è Ruggero Razza, assessore regionale alla Salute: “Mi rendo conto che si siano accumulati ritardi nelle comunicazioni e qualche disservizio di troppo. Me ne scuso”, aveva detto l’altro ieri. Ma da quel momento, al netto del matrimonio dell’assessore e dell’apertura di qualche drive-in, nulla è cambiato. Il tracciamento è impazzito, il virus è fuori controllo e tanti siciliani (oltre 50 mila) sono reclusi in casa senza alcuna assistenza da parte delle ASP. Sembra la Lombardia, anche se il dato del contagio nell’Isola è di gran lunga inferiore. I problemi atavici della sanità siciliana, aggravati da una quarta ondata senza precedenti, si stanno riflettendo sui pazienti: non solo quelli Covid. Ne è prova il fatto che a Palermo è in atto la riconversione di molti reparti, e che si fatica a trovare posti letto per i ricoveri standard. Atteso che la curva dovrebbe toccare il picco verso la fine del mese, sarà un gennaio di fuoco.

Ma veniamo alla prima questione: il galoppare dei contagi. A Palermo, Omicron ha raggiunto il 70% di diffusione. Controllare è impossibile, arginare pure. Il principale strumento è quello del test antigenici, ma i reagenti stanno finendo. Nei magazzini della Protezione Civile, per ammissione del capo dipartimento Salvo Cocina, ne sono rimasti 50 mila. Quelli somministrati nel giorno di San Silvestro erano 62 mila. I test approvvigionati dalla struttura commissariale anti-Covid della Regione, in realtà, sono quelli che vengono smistati nei drive-in (alcuni anche scaduti, secondo una recente scoperta del deputato del M5s, Giorgio Pasqua, a Partinico), che nel frattempo sono (sarebbero) stati potenziati. L’equazione non funziona. “In alcune Asp siciliane mancano i tamponi rapidi, al punto che ci sono comuni nei quali si invitano i cittadini che presentano sintomi Covid a ‘rimanere a casa’ – sbotta Giuseppe Lupo, capogruppo del Partito Democratico -. È incredibile che a due anni dall’inizio della pandemia, in Sicilia siamo ancora alle prese con scorte insufficienti. Non possiamo chiedere ad un cittadino con sintomi Covid di scegliere se restare a casa o trovare un tampone a pagamento, perché questo significa rinnegare il senso stesso di servizio sanitario pubblico”.

Molti cittadini l’hanno già fatto senza nessuno che glielo chiedesse. Farmacie e laboratori privati sono presi d’assalto. Secondo un calcolo di Repubblica, le 600 farmacie e i 450 laboratori analisi accreditati, nelle ultime due settimane, avrebbero guadagnato mezzo milione al giorno per eseguire i test rapidi (a 15 euro cadauno). Va meglio a chi offre il servizio dei molecolari, sempre più richiesto a causa della diffusione del virus e della scarsa affidabilità degli antigenici. Ma c’è un altro elemento che dovrebbe far riflettere. Mentre nei privati abbondano le file, nei drive-in (ne sono stati aperti a Palermo, Termini e Cefalù, prossimamente anche a Messina) scarseggia il personale. E le code si creano comunque. Musumeci aveva detto che “recluteremo centinaia di biologi”. La situazione, però, è assai più complicata. E la coperta cortissima. Il potenziamento dei drive-in, infatti, comporta l’indebolimento (naturale) delle cure domiciliari. Anche le squadre delle Usca (153 in tutta la Regione più le 35 scolastiche), infatti, non riescono a coprire il fabbisogno della popolazione contagiata. Oltre all’impossibilità di tracciare per tempo i contatti stretti dei positivi, non si riesce nemmeno ad effettuare il tampone di fine quarantena nei tempi stabiliti. Ergo, molta gente rimane imprigionata o ricorre al fai-da-te.

Razza ha individuato il problema, ma ad individuare le cause ci ha pensato il Movimento 5 Stelle: “Tra ottobre e novembre, l’assessore regionale della Salute, con una scelta quantomeno frettolosa, ha imposto alle ASP di ridurre le spese per l’emergenza Covid. Ecco perché oggi, in piena quarta ondata, ci troviamo davanti a scene indegne di una regione civile, con centinaia di auto e ore di attesa per un test o per la vaccinazione, pazienti in quarantena abbandonati, disorganizzazione e personale del tutto insufficiente”. E ancora: “Tutte le unità Covid che si occupano del tracciamento sono state depotenziate. Le ASP non riescono a rispondere a tutte le richieste di assistenza. I cittadini sono abbandonati a se stessi”. L’unica contromisura, secondo il leghista Carmelo Pullara, è quella di sbloccare la proroga del personale Covid, anche alla luce della norma contenuta nell’ultima Legge di Stabilità nazionale, già approvata dai due rami del parlamento: “Più che distruggere progettualità – è l’invito a Razza – si occupi di costruire o ricostruire la sanità siciliana partendo dalle liste d’attesa inaccettabile, dai concorsi banditi un paio di anni fa per infermieri ed altre professioni e ad oggi non espletati, dalla rete ospedaliera rimasta sulla carta. Esorto l’Assessore a dare indicazioni ai direttori generali di prorogare i contratti covid ben oltre il 31 marzo perché è ormai chiaro che l’emergenza pandemica, e più in generale l’emergenza in sanità, non cesserà in tre mesi”.

Ripetono come un mantra che la pandemia, sotto sotto, si è rivelata un’opportunità. Per molti, certo, ma non per la sanità pubblica. Che al netto dei problemi già discussi, non ha tratto alcun giovamento dall’emergenza Covid. Nemmeno sotto il profilo dell’edilizia. Il piano finanziato da Roma con 128 milioni, che avrebbe permesso alla Regione di creare 235 nuovi posti di rianimazione e 318 di sub-intensiva, infatti, è un’incompiuta. Ad oggi i nuovi posti-letto consegnati sono soltanto 95, per sette cantieri completati (e 44 in corso). Ma le ditte private, in un gioco di appalti e sub-appalti, continuano a fare soldi. Mentre le cliniche private convenzionate, che nella fase dell’emergenza avrebbero dovuto “accogliere” i pazienti ordinari per lasciare spazio – negli ospedali – ai malati Covid, hanno visto chiudere i rubinetti di recente. L’accordo sull’extrabudget stipulato l’estate scorsa (col riconoscimento di un tesoretto aggiuntivo oltre ai 200 milioni l’anno già assegnati) è caduto in prescrizione per l’esaurimento delle risorse. A ottobre dall’assessorato alla Salute è arrivato lo stop. Da qui l’ingorgo nelle strutture pubbliche.

Ad arricchirsi come se non ci fosse un domani, invece, restano le ditte che offrono beni di consumo come mascherine, tute e guanti. Ma anche tamponi. La Sicilia ha speso oltre 266 milioni per questo genere di forniture, ma solo la metà dei soldi sono stati assegnati passando da normali procedure d’appalto (dove le ditte medio-piccole hanno prevalso sui grandi colossi). Per il resto, si è preferito procedere con affidamenti diretti. La Rotoform, citando l’inchiesta di Repubblica, ha fornito mascherine per 6,8 milioni di euro, l’inglese Paramount dispositivi di protezione per 1,7 milioni (specie nella prima fase della pandemia). Anche le ambulanze, però, hanno rappresentato un business. Anche il sistema di emergenza-urgenza siciliano, infatti, ha dovuto ricorrere ai privati per la gestione delle cosiddette “eccedenze” e per la sanificazione dei mezzi. I privati, insomma, hanno già vinto. Anche se la pandemia è tuttora in corso.

In questi due anni il giro d’affari, in Sicilia, ha sfiorato il miliardo di euro. Ma resta un sentimento di rassegnazione rispetto alle problematiche segnalate in questi giorni. Che potrebbero ulteriormente aggravarsi. Anche negli hub vaccinali, ad esempio, la situazione non è idilliaca. Al centro di via Bixio, a Siracusa, fin dalle prime ore di ieri la gente si è accalcata per ricevere una dose. La situazione potrebbe migliorare con l’apertura di un nuovo hub ad Augusta (ricordiamo che i centri vaccinali ospedalieri sono stati morigerati per il contenimento della spesa). A Ragusa, nell’hub dell’ex ospedale Civile, si è deciso di destinare mezza giornata alle prenotazioni e mezza all’Open Day. Al PalaTupparello di Acireale, un tempo riservato ai concerti, si registrano lunghe file da ben prima dell’alba (per i vaccini ma anche per i tamponi).

E mentre i commissari anti-Covid di Palermo e Catania, Renato Costa e Pino Liberti, segnalano una fiammella di speranza per dopo l’Epifania (dovremmo aver raggiunto il picco), Musumeci torna nelle vesti abituali di sergente. E anziché spiegare perché la sanità traballa, minimizza: “Le file per i tamponi? Ho visto immagini peggiori in Lombardia e in altre regioni. E comunque il tampone deve essere un’eccezione, non la regola. Io sono per l’obbligo vaccinale”. Poi ammonisce: “Con questa tendenza di contagi la zona arancione sarà inevitabile. Lanciamo appelli al rispetto delle norme, così evitiamo di andare in zona rossa”. E’ tutta una questione di cromature, d’altronde. Mai di problemi irrisolti.