Mentre il dibattito nazionale sul fine vita si concentra sull’importanza di accompagnare con dignità i malati terminali, la Sicilia emana nel silenzio generale un decreto destinato a rivoluzionare il sistema delle cure palliative regionale, orientandolo verso un modello di “mercato” che contrasta con la natura stessa di questo delicato servizio.
Il decreto sulla riorganizzazione della rete di cure palliative, datato 27 giugno 2025 e firmato dall’Assessore Daniela Faraoni (indicata da Forza Italia), viene presentato come necessario per raggiungere il 90% di copertura dei malati terminali entro il 2028. Ma un’analisi attenta del testo solleva inquietanti interrogativi sulle reali intenzioni di una riforma che tocca un settore fondato sull’empatia e la dignità umana.
Cosa cambia nella norma rispetto al passato
Nel 2011, con l’adozione del primo programma regionale per le cure palliative, veniva di fatto sancita una riserva specifica dell’assistenza domiciliare e residenziale agli enti non profit, come ONLUS e associazioni di volontariato. Questa scelta puntava a garantire elevati standard di qualità e umanizzazione, privilegiando la dimensione solidaristica e la gestione non lucrativa. Successivamente, nel novembre 2011, i requisiti per l’accreditamento di questi enti vennero ancor più consolidati, ribadendo la centralità riservata ai soggetti senza scopo di lucro, ritenuti portatori di una maggiore garanzia qualitativa e valoriale.
Con il nuovo decreto del 4 giugno 2025 n. 588, quello schema tradizionale è stato variato radicalmente. Il decreto introduce il sistema di accreditamento aperto anche ai soggetti imprenditoriali.
Dal no-profit al mercato: una svolta controversa
Fino ad oggi, dunque, in Sicilia l’assistenza ai malati bisognosi di cure palliative è stata garantita da ONLUS ed enti del terzo settore senza scopo di lucro, operanti in convenzione con il sistema sanitario regionale. Una scelta coerente con la natura del servizio: l’assistenza a malati in fase terminale non può essere un mercato, ma deve tenere al centro la persona, non il profitto.
Il nuovo decreto cambia radicalmente questa impostazione. All’articolo 2 si introduce la “revisione dei requisiti per l’accreditamento delle strutture private”, ispirata a un “sistema aperto volto ad assicurare maggiore concorrenza”. Concorrenza nel settore delle cure palliative? Una formulazione che non può non destare interrogativi.
Questo passaggio apre di fatto la porta agli enti profit, mettendo le realtà associative e le ONLUS – che svolgono un ruolo decisivo nel sostegno morale, spirituale e psicologico dei pazienti – in competizione con strutture private orientate al profitto, con le quali difficilmente potranno competere.
Il linguaggio del decreto suggerisce una logica più aziendale, più fredda che appare estranea e stridente con il concetto stesso di cure palliative.
Un problema mal diagnosticato
L’obiettivo del 90% di copertura territoriale appare mal impostato nella sua diagnosi. Il mancato raggiungimento non sembra dovuto alle ONLUS, che hanno sempre assistito egregiamente i malati su richiesta delle ASP senza generare liste d’attesa – virtù rara nella sanità isolana. Le cause vanno piuttosto ricercate nell’amministrazione del sistema sanitario e nelle ASP che spesso assegnano cure inappropriate, come l’ADI geriatrico, a pazienti che necessiterebbero di cure palliative, facendo così scendere artificialmente le percentuali di copertura. In questo senso alcune province dell’isola, come Trapani, detengono un triste primato.
Perché dunque smantellare uno dei pochi fiori all’occhiello della sanità regionale? A chi giova realmente questa riforma? Certamente non ai malati e alle loro famiglie.
Contraddizioni politiche evidenti
Sul piano politico emerge poi una palese contraddizione. Mentre il governo nazionale di centrodestra invoca la riscoperta dei valori comunitari e l’elogio del terzo settore come baluardo di solidarietà sociale, la Sicilia – governata dalla stessa matrice politica – procede verso una “liberalizzazione del settore” che contrasta non solo con i principi di fondo dell’indirizzo nazionale maturati anche in un dialogo aperto con la Santa Sede, ma anche con le parole del Presidente Mattarella, che ha invitato a rimettere la persona al centro della cura, non il profitto.
Il 30 maggio 2025, i Vescovi siciliani avevano invitato a “garantire una cura anche quando non c’è guarigione, preservando l’umanità del rapporto con il paziente” – non certo a trasformare un bisogno di assistenza in opportunità di business. Un appello che pare rimasto inascoltato.
Il rischio della mercificazione
Come ha precisato Monsignor Giuseppe Baturi, segretario generale della CEI, le cure palliative richiedono “attenzione all’integrità fisica, agli aspetti affettivi, alla cura domiciliare, alla terapia del dolore e al coinvolgimento del terzo settore”. Il decreto dell’Assessorato alla Salute della Regione Siciliana, mettendo al centro la competitività, rischia di snaturare questa “cura totale” proprio mentre dice di volerla affermare.
In un momento in cui il dibattito nazionale sul fine vita infiamma l’opinione pubblica, in Sicilia, nel silenzio generale dei media, sembra si stia organizzando il mercatino della sofferenza. Indipendentemente da come la si pensi su un tema assai delicato come il fine vita, questa terza via in salsa siciliana, votata al pragmatismo economico ispirato a logiche puramente aziendali e ad una visione più prosaica della cura, appare discutibile e rischia di demolire qualcosa che fino ad ora ha funzionato. Un lusso che, forse, non possiamo più permetterci.