Lercara Friddi, oltre alle innumerevoli testimonianze archeologiche, come il sito sicano del Colle Madore o il parco archeologico delle zolfare, può vantare un forte legame con una delle voci più conosciute al mondo del ventesimo secolo, Frank Sinatra. I nonni paterni, Francesco Sinatra e Rosa Saglimbeni, provenivano da Lercara Friddi, in Via Margherita di Savoia (oggi via Regina Margherita), poi emigrati in America. Lercara è dunque molto legata al principe dei Crooner e per tale ragione è nato il My Way Festival, in collaborazione con l’amministrazione comunale, la Fondazione the Brass Group e con il patrocinio dell’assessorato Turismo e Spettacolo della Regione siciliana. Quest’anno la kermesse, giunta alla 13.ma edizione (dal 17 al 22 agosto) , si conferma uno strumento di promozione del territorio, un contenitore di eventi musicali, culturali e gastronomici, una rassegna per ricordare le origini attraverso, la musica, le note, il canto e le tradizioni del nostro territorio.

Tra i vari appuntamenti merita una menzione speciale la mostra fotografica “Il mio modo di ascoltare la musica”, realizzata da Arturo di Vita, fotografo ufficiale della Fondazione the Brass Group, che orami da quasi un ventennio immortala in modo magistrale i big del jazz. Nel suo ritratto su buttanissima.it, Luciana Amato parla di Di Vita come “un insegnante appassionato di fotografia, che con il suo occhio attento ama ritrarre la musica e dargli un corpo, convinto che la potenza evocativa della musica sia simile a quella della fotografia, perché in grado entrambe di creare scenari fantastici nell’anima e nella mente”. E, ancora, ha sottolineato che “in tanti anni di collaborazione con la Fondazione ha immortalato i principali protagonisti della musica jazz, nazionale e internazionale: da Peter Cincotti a Diane Shuur, da Fabrizio Bosso a Patti Austin, da Gregory Privat a Katie Tiroux; o ancora Giuseppe Milici, Bepi Garsia, Carmen Avellone e Simona Molinari, per citarne solo alcuni. Nomi celebri del firmamento musicale che di fronte al suo occhio fotografico hanno mostrato sfumature eccezionali e irripetibili, ma che hanno svelato all’un tempo la loro natura umana fatta di pregi e difetti”.

“L’utilizzo abile e consapevole della macchina fotografica – ha evidenziato Luciana Amato – permette a Di Vita di cogliere ogni gesto, ogni movimento nello spazio, di catturare il movimento, di immortalare il contatto delle mani con lo strumento, di cogliere la tensione e la fatica di suonare o di cantare, di fissare il capriccio o il piacere di interpretare un pezzo, di inseguire una nota, di mantenere un ritmo o una tonalità: ogni dettaglio viene catturato dal suo obiettivo e si fonde per creare uno scatto unico e irripetibile. Attraverso eleganti e raffinati scatti in bianco e nero e a colori li ha raccontati, ed è riuscito, mettendoli quasi a nudo, a catturare un’emozione ad ogni scatto”.

Oggi è lo stesso Arturo Di Vita che spiega lo spirito della mostra e della sua passione per la fotografia: “Una scommessa tecnica che è diventata puro amore… Quando ho iniziato a fotografare il jazz mi sono chiesto se era possibile far percepire il suono e le emozioni che esso genera in una fotografia, supporto di per sé assolutamente “silenzioso”. Poi questa sfida tecnica si è trasformata in una storia d’amore che aumenta di giorno in giorno”.