Quella respinta dall’Assemblea regionale, al termine di un breve, modesto dibattito, è stata solo formalmente una mozione di sfiducia.
Chi l’ha presentata, già con poca convinzione, come un atto dovuto per segnalare una presenza esile e ininfluente, ne conosceva l’esito, consapevole perfino di pervenire ad un risultato opposto a quello sperato.
Anziché svelare le pesanti contraddizioni della maggioranza, rese ancora più stridenti dalle vicende giudiziarie che hanno riguardato Cuffaro e hanno portato alla cacciata dei suoi dal governo, l’iniziativa dell’opposizione ha consentito a Schifani di nascondere temporaneamente la polvere sotto il tappeto e di ostentare l’unanime consenso dei partiti che lo sostengono.
Tutti per uno, uno per tutti. Non è costato nulla, non erano in ballo questioni di potere né si dovevano distribuire dei fondi. Il voto, del resto, era palese, la solidarietà gratuita.
Poi, fra qualche giorno, al momento della discussione e dell’approvazione della legge finanziaria e di bilancio, rispunteranno i coltelli.
La vera mozione di sfiducia a Schifani, comunque, è quella decisa dai suoi alleati, quella che gli è stata anticipata e che gli verrà notificata al termine della legislatura con un vero e proprio provvedimento di sfratto.
Nei lunghi mesi da qui alle prossime elezioni, egli resterà stancamente a Palazzo d’Orléans a completare un percorso senza gloria, senza alcun apprezzabile risultato sul terreno economico e sociale, sempre alla ricerca di toppe per nascondere le difficoltà e tirare avanti, in mezzo ad una incalzante questione morale.
In questo contesto Schifani sta lì, fermo, inchiodato al suo posto, proclamando rigore, coerenza e praticando convenienze.
Irremovibile, garantista a tutto tondo con i deboli, con quanti sono stati investiti e infragiliti dal tornado che ha travolto Cuffaro, fino ad escludere dalla giunta due suoi assessori solo per delle colpe in vigilando, senza nessuna responsabilità diretta di natura penale.
Poi il nostro eroe, dopo il bel gesto di coraggio, ha riflettuto: i voti dei deputati della Nuova democrazia cristiana, in un quadro balcanizzato come quello della sua maggioranza, possono risultare determinanti. Se gli assessori non potevano rimanere in giunta, era possibile e principalmente utile tentare di averne i voti confermando i loro amici nelle cariche di sottogoverno per le quali erano stati designati.
Sarà severo Schifani, rigoroso e inattaccabile, ma intanto deve ingegnarsi a garantire la propria sopravvivenza.
Convivendo con una questione morale che porta un giorno sì e l’altro pure la Regione sulle pagine dei giornali e sui mezzi di informazione per un rosario ininterrotto di malefatte, di inadempienze e di sprechi in molti settori della vita pubblica, a partire dalla sanità.
Io so quanto risulti velleitario e fuori dal consueto modo di pensare, eppure una domanda l’azzardo, a partire da una considerazione. Schifani per tanti anni è stato un attore rilevante sulla scena politica nazionale. Fortuna, protezione o capacità, è stato a capo del maggiore gruppo alla Camera dei deputati, quello di Berlusconi, e poi, ciò che vale ancor di più, presidente del Senato, ha ricoperto la seconda carica dello Stato.
Ora, non dico che essere alla guida della Regione sia di scarso rilievo. È importante o lo sarebbe se chi ricopre quel ruolo potesse e volesse davvero esercitarlo. Se fosse in grado di indicare una rotta e di trovare la forza, il coraggio e le condizioni per indurre la sua maggioranza a seguirlo.
Sarebbe rilevante, quel ruolo, se un uomo con la storia di Schifani potesse svolgerlo in modo coerente e con qualche risultato.
Ed ecco la domanda: perché egli dovrebbe accettare di proseguire in una posizione umanamente e politicamente devastante? Non dovrebbe esserci per ciascuno – e quindi anche per lui – la consapevolezza che esiste un tempo per ogni cosa e che al potere, sempre allettante e adrenalinico, ad un certo punto della vita si dovrebbero anteporre dignità, coerenza e memoria?
Moralismo d’accatto, il mio? Gratuita e sterile proclamazione di principi da parte di chi ormai non esercita altro ruolo se non quello di osservatore interessato e, magari velleitariamente, indotto a formulare giudizi non richiesti, perfino con qualche dose di moralismo?
Può essere anche così. È facile insegnare la morale agli altri quando non si è più in condizione di peccare direttamente. Eppure, se si è consapevoli di non trovare il consenso per andare avanti, avendo un’età e una storia, se si sa che si dovranno trascorrere ancora molti mesi fino alle prossime elezioni in una permanente condizione di impotenza politica, sballottati tra proclamazioni solenni e palesi incoerenze per rimanere aggrappati alla guida di una istituzione ridotta peraltro alla stregua di una vecchia vettura impantanata, perché ad un certo punto non si dovrebbe avere il coraggio, perfino la dignità, di dire: questo è il mio programma, questa è la strada che voglio seguire e se non siete d’accordo, tutti a casa?
Bella ipotesi, se qualcuno mi legge, magari mi riderà dietro, mi crederà fuori dal mondo.
Schifani di sicuro non ne resterà scosso. Continuerà a fingere di governare, alternando l’anatema verso i deboli all’abbraccio con i forti, nella speranza di bloccare l’ostilità e di ottenere benevolenza.
È stato bello il gesto che ha compiuto quando, durante il dibattito sulla sfiducia, ha saputo che per il presidente dell’Assemblea era stato chiesto il rinvio a giudizio. Lo ha abbracciato con tenera amicizia, manifestando la solidarietà di un autentico garantista e insieme la furbizia di chi sa fare di conto sui voti in Assemblea.


