In attesa del primo incontro tematico, in programma domenica a Palermo, il centrosinistra si misura sui social. Ma le idee non c’entrano. C’entra, piuttosto, il desiderio (disperato) di coinvolgere una base che, a dispetto della stagione, pare ancora un po’ freddina. Alla piattaforma di SkyVote, dove il prossimo 23 luglio si sceglierà il candidato del centrosinistra alla presidenza della Regione, si sono iscritti in pochi, pochissimi. Seimila persone. L’obiettivo dichiarato del Pd era quello di raggiungere i centomila votanti, puntando anche sul fatto che alle primarie si potrà partecipare da remoto, e non soltanto recandosi nei gazebo. Anche i 5 Stelle, che hanno annunciato il proprio candidato qualche giorno fa, faticano a coinvolgere la base, che non ha preso benissimo – in realtà – la scelta di Barbara Floridia, del tutto estranea (o quasi) alle vicende sicule.

Questo inseguimento, che vede Fava in leggero vantaggio (ma la sua campagna è partita in largo anticipo rispetto ai competitors), per il momento non ha lasciato spazio ai temi, né alla costruzione di una proposta alternativa a Musumeci. Le primarie, infatti, sono soltanto il primo atto di una competizione che andrà ben oltre, con il traguardo fissato alle Regionali d’autunno. E’ difficile capire come due protagoniste del calibro di Chinnici e Floridia, da sempre avulse rispetto al panorama regionale, possano contrastare il carrozzone della destra, seppure in frantumi. A scanso di equivoci, le due protagoniste “annunciate” non hanno detto una parola su Musumeci, confermando l’equivoco di fondo. Si sono rifugiate nelle ferme convinzioni del nulla, analizzando la Sicilia come fa uno spettatore attonito. Senza mai sporcarsi le mani, contrastare o battibeccare, se necessario.

Ci sarà un momento anche per quello, forse. Il 10 luglio è in programma il primo di sei confronti tematici: a Palermo si parlerà di antimafia, pratiche anticorruzione e trasparenza nella pubblica amministrazione. Poi ci sposterà a Ragusa per discutere di infrastrutture, in un calendario abbastanza fitto che porterà, il 21 luglio, a parlare di emergenza rifiuti a Catania. L’epicentro del caos. Fino ad allora proseguirà questa operazione soporifera dell’invito alle urne (digitali), senza tuttavia offrire in cambio agli elettori (potenziali) una proposta chiara. O un candidato valido. O magari entrambi. A meno di un clamoroso cambio di rotta, il primo esempio di democrazia partecipata di stampo progressista, potrebbe rivelarsi un flop. Della serie che, all’indomani del 23 luglio, qualcuno potrebbe pensare che, forse, era meglio far decidere le segreterie…

Non che nel campo del centrodestra le cose vadano molto meglio. Le trattative per stabilire il successore di Musumeci non ingranano. Le crisi di governo sbandierate un giorno sì e l’altro pure a Roma, per creare difficolta a Mario Draghi (l’ultimo tentativo è della Lega di Salvini), hanno dilatato i tempi del vertice che Giorgia Meloni aveva richiesto ai leader del centrodestra per sciogliere i nodi sulla Sicilia. Ma il groviglio è diventato persino più robusto a causa degli annunci di Musumeci (in primis, quello del ‘passo di lato’) poi ritrattati; e degli interventi in suo favore, oltre che di Ignazio La Russa, anche di Lorenzo Cesa.

Cesa, il capo dell’invisibile Udc che a Palermo – nonostante l’indicazione di un candidato sindaco di bandiera: Lagalla – non è riuscito a far eleggere nemmeno un consigliere comunale. Nonostante il partito sia ridotto in miseria, e il segretario stia cercando un accordo con Salvini per concedere a qualcuno dei suoi un salvacondotto alle Politiche, ecco l’endorsement che non ti aspetti: “Personalmente credo che Musumeci debba continuare l’esperienza alla Regione”. Non ha detto il motivo, Cesa. Forse lo ignora. Certo è che la presenza del suo ex mandatario elettorale nei corridoi della Regione, e in una stanza in particolare, lascia qualche perplessità. E forse un po’ di disappunto, che con una campagna elettorale ineccepibile il leader dell’Udc saprà certamente fugare. Nel frattempo si arrocca sulle posizioni acquisite: con Lagalla, fino all’inizio della primavera, aveva tre assessori in giunta. Ora sono rimasti un paio (Turano e la Baglieri). Tutto grasso che cola.

Musumeci con taluni alleati ci ha saputo fare. Con altri – vedi Forza Italia – un po’ meno. Ma le sue speranze sono vincolate per lo più ai prossimi passi di Giorgia Meloni. Che di fronte al ‘niet’ di Salvini e Berlusconi potrebbe decidere due cose: strappare con il resto della coalizione (improbabile, dati gli scenari elettorali del 2023); o ripiegare a più miti consigli, infischiandosene dei post di La Russa che un giorno sì e l’altro pure preme per la conferma di Nello. Non è tanto questo il punto. Bensì capire quando si terranno questi tavoli, e soprattutto dove.

Nel primo organizzato da Micciché a Palermo, Fratelli d’Italia è stato l’unico partito a non partecipare. Gli altri, compresa la Lega (che pure non aveva apprezzato il metodo) c’erano. E hanno rappresentato l’esigenza di rivedersi insieme, quanto prima, per gettare le basi di una candidatura unitaria “senza pretese e senza preclusioni”. Il ‘no’ a Musumeci, però, è una preclusione grande quanto una casa. Non è bastato Marcello Dell’Utri, altro protagonista “rumoroso” di questa campagna fiacca, a scalfirla. Eppure ci ha provato. Il Fatto Quotidiano racconta di un altro incontro avvenuto nei giorni scorsi con Musumeci, dopo il famoso pranzo all’Hotel delle Palme, settimane addietro, per discutere del dono della biblioteca. Un altro tête-à-tête fra l’ex senatore condannato per concorso esterno in associazione mafiosa e il presidente che ha “messo alla porta affaristi, mafiosi e ciarlatani”. Per parlare di politica e di futuro, va da sé.

Dell’Utri è l’unico cavallo di Troia che il governatore uscente spera di poter utilizzare nel recinto di Arcore per convincere Berlusconi a superare i veti. Abbandonando la linea di Gianfranco Micciché, ormai sposata in pieno anche dall’ambasciatrice ‘siciliana’ del Cav., Licia Ronzulli; e ripiegando su quella dei ‘ribelli’, che da tempo invocano il cambio della guardia dentro Forza Italia e il sostegno al bis dell’uscente. Anche questi meccanismi, però, risentono del caldo estivo; delle evoluzioni del governo Draghi; della disfida all’interno del campo largo, con un’eventuale fuoriuscita dall’esecutivo dei 5 Stelle che rimetterebbe tutto in discussione. Persino le ovvietà, come l’alleanza col Pd. A quel punto bisognerebbe ricominciare daccapo. Forse – sono i ragionamenti – è meglio rallentare adesso…

L’unico a macinare chilometri e consensi, in questa fase della campagna più stanca di sempre, è Cateno De Luca. Saranno discutibili i modi, le alleanze, le profezie. Ma l’ex sindaco di Messina viaggia spedito verso la meta: diventare sindaco di Sicilia. Difficilmente ce la farà. Ma i suoi avversari, tanto a destra quanto a sinistra, stanno facendo il possibile per agevolargli la traiettoria. De Luca potrà sfruttare l’impreparazione della Chinnici (per cui ha ammesso di fare il tifo) a sinistra; e l’inconcludenza di Musumeci, dall’altra. Nel caso in cui si manifesti una proposta nuova nel centrodestra, inoltre, questa non avrà abbastanza tempo per attecchire. E’ un piano perfetto quello di Scateno, che nessuno fin qui sta riuscendo a scombinare.