Tra la minaccia di una crisi e la promessa di un rimpasto, tra una mancia per i Comuni e una consulenza per gli “amici”, l’attività parlamentare in Sicilia è ridotta a un esercizio di sopravvivenza. Una sorta di divertissement. Ogni settimana la scena si ripete: il governo sta per scoppiare, la maggioranza si riunisce per metterci una pezza, intanto il tempo scorre inesorabile, riempito da proposte inutili, dibattiti autoreferenziali e grandi gesti che non producono nulla.

L’ultima variazione di bilancio è stata falcidiata dai franchi tiratori. Saltata come un castello di carte. Mentre il prossimo traguardo — la Finanziaria da due miliardi — è già terreno di scontro tra gli stessi partiti che dicono di volerla scrivere “insieme”. Nel frattempo, per non restare del tutto in silenzio, i settanta deputati dell’Ars si sono inventati un nuovo passatempo: discutere del voto segreto.

È la nuova frontiera del nulla. Un diversivo perfetto per riempire le cronache e fingere un confronto di principio, mentre fuori l’Isola resta ferma. La sanità arranca, le strade franano, i treni non arrivano mai (talvolta non partono nemmeno: basti vedere la situazione della Sicilia orientale), ma a Sala d’Ercole tiene banco un nodo che neppure i precedenti governi – Musumeci minacciò di non tornare più in aula fino alla sua abolizione – riuscirono a districare.

A innescare la miccia è stato il Partito Democratico, con la sparata ironica (ma non tanto) del capogruppo Michele Catanzaro: «Se Schifani intende abolire il voto segreto, lo aspettiamo a Sala d’Ercole. Ma lo diciamo fin d’ora: chiederemo che su questa proposta l’Aula si esprima… con voto segreto». Una frase che da sola racconta l’intera legislatura: un cortocircuito continuo tra il serio e il ridicolo.

Fratelli d’Italia ha risposto con tono moralista: “Il dissenso è il sale della democrazia – ha detto il commissario Luca Sbardella – tuttavia se c’è va espresso alla luce del sole, con voto palese e mettendoci la faccia”. Peccato che pochi giorni prima, proprio il suo partito, quel voto segreto lo avesse usato per impallinare la manovrina di Schifani. Lo aveva fatto a ripetizione, contribuendo alla bocciatura di 17 norme contenute nel pacchetto da 54 articoli (da 240 milioni). Un boicottaggio in piena regola. Una vendetta rispetto alla conferma di Salvatore Iacolino nel ruolo di superburocrate della Pianificazione strategica.

Sul tema più attuale non potevano mancare i toni solenni di Forza Italia e Democrazia Cristiana. Il capogruppo di FI Stefano Pellegrino ha scoperto che “il voto segreto viola il principio di responsabilità”, mentre Carmelo Pace, scudiero di Cuffaro, ha annunciato “la fine dell’era dei giochetti di palazzo”. Parole impegnative, pronunciate da chi vive in un palazzo che, di giochetti, ne produce a ciclo continuo. Ma la scena più surreale l’ha regalata Nello Dipasquale, terza legislatura con la casacca del Pd, che ha rispolverato un vecchio video dai tempi del governo Crocetta: Musumeci che difende il voto segreto come “diritto del Parlamento” e Santi Formica che avverte che “abolirlo significherebbe togliere ogni potere all’Aula”. «E poi sarebbe il PD a fare la peggiore politica?» ha chiosato Dipasquale. Sipario.

E così, mentre il governo cerca di sopravvivere e i partiti litigano su tutto, l’Ars si intrattiene con un dibattito che non cambierà nulla, ma riempie il vuoto. Non ci sono leggi di riforma, né priorità condivise. C’è solo – da qui alla prossima Legge di Stabilità e all’ennesimo ricatto – questo interminabile intermezzo da riempire. Prima del voto segreto aveva tenuto banco la questione del deputato supplente, che il centrodestra ha ovviamente approvato. Uno strumento per consentire agli assessori di fare gli assessori, e nel frattempo di essere sostituiti a Sala d’Ercole da deputati semplici, motivati e strapagati fino all’ultimo centesimo. “Questa porcata senza senso – ha detto Barbagallo, segretario regionale del Pd – tra l’altro consegnerebbe al candidato presidente che vince, anche di un voto e con percentuali basse, di assegnare fino a 19 deputati (12 supplenti e 7 con il listino) al di fuori dei seggi attribuiti con il sistema proporzionale. Insomma, un pastrocchio in tipico stile Schifani”

Ma il voto segreto, quello sì, è davvero l’ultima assicurazione sulla vita del politico siciliano, l’unico modo per tradire senza essere scoperto, per restare nella nebbia quando le responsabilità bruciano. Senza voto segreto, niente misteri. Niente sospetti. Niente franchi tiratori da romanzo. E quindi niente storie da raccontare. A Sala d’Ercole la trasparenza non è un valore: è la fine del divertimento. Per questo chi oggi dichiara di volerla ripristinare, in realtà mente a se stesso. E al popolo siciliano, che fatica ad appassionarsi a questi stucchevoli retroscena.