Nel maxi collegato da una cinquantina di milioni (e 98 articoli) che a partire da martedì della prossima settimana finirà in aula, all’Ars, per la discussione e il voto, c’è una parte di risorse destinata alle quattro associazioni antimafia più importanti. Trecentoquarantamila euro così ripartiti: 130 mila per la Fondazione Giovanni e Francesca Falcone; 120 mila per il Centro Studi Pio La Torre; 50 mila per il Centro Studi Cesare Terranova; e 40 mila per la Fondazione Gaetano Costa. Si tratta di contentini che sono il frutto del compromesso tra chi fa politica e chi, invece, tenta di contrastare in ogni modo – convegni, iniziative, dibattiti – la cultura dell’illegalità.

O, prendendo in prestito le parole di Vito Lo Monaco, presidente del “Pio La Torre”, per delegare le nuove generazioni a “farsi carico della sconfitta delle nuove mafie presenti in tutto il territorio nazionale ed internazionale, e delle loro reti di relazioni con le aree grigie minoritarie del mondo delle professioni, degli operatori economici, dei politici e burocrati corrotti e collusi che mortificano la stragrande maggioranza degli onesti”. Lo disse nell’aprile scorso, durante la commemorazione del 37° anniversario della morte di Pio La Torre, celebrata a Palazzo dei Normanni, sede dell’Assemblea regionale, per la prima volta nella storia.

La politica con una mano dà e l’altra toglie. Da un lato è spesso grigia e collusa – imbastendo una serie di comportamenti che nel migliore dei casi finiscono sotto la lente d’ingrandimento di giudici e commissioni antimafia – dall’altro è generosa e magnanima con coloro che censurano i cattivi esempi. Districarsi diventa difficile anche per le associazioni. Che talvolta, e non gli manca occasione, si schierano al gran completo sotto la luce dei riflettori, sventolando lenzuola e indignazione. Ma talvolta si rivelano assenti, distratte o ammutolite. Come nel caso di uno degli scandali che da oltre un decennio si abbatte sul buoncostume della Regione: il censimento fantasma da 91 milioni di euro, commissionato nel 2007 dal governo Cuffaro a una società di avventurieri, che mai nessuno ha avuto la fortuna di vedere. Come è possibile che nessuna antimafia – di forma o di sostanza – si informi su che fine abbiano fatto quei soldi – se in Lussemburgo o chissà dove – e di chi siano le responsabilità di un’omissione così gigantesca?

Una buona attività di contrasto alle “aree grigie”, ai “politici e burocrati corrotti e collusi” potrebbe partire da qui. Non risulta che sia avvenuto. L’antimafia, così, rischia di rimanere acefala. Rischia di venir meno al piano dell’azione, detto che su quello della forma è imbattibile. Nessuno si sognerà mai di contestare a Maria Falcone l’iniziativa della “Nave della legalità” che ogni anno, il 23 maggio, nel giorno dell’anniversario di Capaci, trasporta 1.500 ragazzi da Civitavecchia a Palermo per onorare la memoria del giudice Falcone; né si opporrà alla presenza del Centro Studi Pio La Torre alle commemorazioni di Libero Grassi, di Carlo Alberto Dalla Chiesa, di Peppino Impastato, alle sue battaglie di lotta e resistenza. Mai, per carità.

C’è un “però” grande quanto una casa, che nessuna frase riassumerebbe meglio di quella utilizzata dal direttore di Buttanissima, Giuseppe Sottile, nella chiosa delle sue Operette Immorali: “E’ molto più facile chiedere alla politica, che insabbia le carte, contributi e finanziamenti; e non un gesto di coraggio e di verità”. Esaurito il capitolo dell’insabbiamento – potremmo limitarci a dire che il vicepresidente della Regione, Gaetano Armao, il primo ad avviare un contenzioso con gli avventurieri nel 2010, aveva promesso di aprire il server con il famoso censimento entro la metà di luglio; o, ancora, che lo stesso vice governatore, messo alle corde dal M5S, avrebbe dovuto presentarsi in Prima commissione e in commissione Antimafia per offrire qualche dettaglio in più sullo scandalo e sulla password mancante – dicevamo, esaurito il capitolo dell’insabbiamento, scendiamo nel dettaglio di questo legame fra la politica e l’antimafia militante.

Non è un rapporto facile. I finanziamenti alle attività della Fondazione Falcone o del Centro Studi Pio La Torre vengono garantiti dall’ex Tabella H – superata dall’articolo 128 della Finanziaria del 2010 – e vengono erogati ogni anno come “contributi in favore di enti o associazioni” attraverso un bando pubblicato in Gazzetta ufficiale. Ma i soldi a disposizione non bastano mai e la platea è più che ampia. Per il 2019 ci sono 6,2 milioni, rispetto ai 7 dell’anno prima. E vanno suddivisi, sulla base di criteri specifici, fra i vari dipartimenti che ne hanno diritto. Non ci sono solo le associazioni antimafia, ma pure quelle anti-racket, gli enti di cultura, i teatri, le fondazioni varie. Un mare magnum ingestibile, che dipende molto spesso dagli appetiti e dagli umori dei singoli deputati regionali.

L’ultima conta è stata drammatica: nel 2018 la Fondazione Falcone aveva chiesto un contributo da 872 mila euro, e ne ha ottenute 190 mila; il Centro Pio La Torre si è dovuto accontentare di 52.500 euro a fronte delle 228 mila necessarie; al Centro Studi Terranova sono andate meno di 14 mila euro (e non 70 mila); alla Fondazione Gaetano Costa la miseria di 6 mila euro rispetto a un fabbisogno stimato di 30 mila. Così le associazioni storiche hanno chiesto e (in parte) ottenuto dalla commissione Bilancio dell’Ars un emendamento che gli garantirà, in caso di approvazione definitiva da parte dell’aula, un “finanziamento diretto”, evitando la coda alla cassa. Che ammonterebbe, come si spiegava all’inizio di questo articolo, a 340 mila euro. Era gennaio e sono passati già otto mesi. Prima della pausa estiva, il testo del “collegatino” della commissione Cultura è stato rinviato alla trattazione del maxi collegato che avverrà la settimana prossima.

L’idea di destinare una quota fissa alle associazioni antimafia ha trovato compatto il fronte della politica. A partire dal Pd, con il presidente della V Commissione, Luca Sammartino: “Si tratta di realtà che svolgono un ruolo importantissimo sul piano della diffusione della cultura della legalità e dell’antimafia – aveva detto a gennaio, dopo l’ok all’emendamento – e che devono poter programmare la loro attività. Con questo meccanismo potranno finalmente avere certezza rispetto ai fondi loro destinati, senza dovere ‘dipendere’ dal bando annuale dal quale hanno attinto fino ad ora”.

Anche Claudio Fava, presidente della commissione Antimafia – che nelle prossime settimane dovrebbe sciogliere i dubbi circa la convocazione di Armao per parlare del “colpo” da 91 milioni – aveva salutato con entusiasmo la mossa: “L’emendamento mette una pezza, ma non risolve la questione di fondo. Bisogna aggiornare la norma – aveva detto il deputato dei Cento Passi – garantendo una maggiore trasparenza nel finanziamento di tutti i soggetti che si occupano di promozione della legalità e di contrasto alla mafia sul piano culturale ed etico. Proporrò all’Antimafia di produrre un disegno di legge in tal senso e mi auguro che questo sia l’ultimo anno in cui istituzioni ed enti siano costretti a una questua umiliante”. Tutti a sottolineare il senso di una missione e il valore di quel contributo.

Anche Maria Falcone, che quest’anno si è assicurata dall’Assemblea regionale uno stanziamento da 100 mila euro per quindici borse di studio (il 25% in più rispetto al 2018), si era detta felice: è positivo che “la Fondazione Falcone, che da 25 anni si dedica all’educazione alla legalità e alla diffusione della conoscenza della criminalità organizzata per creare nelle nuove generazioni una consapevolezza e una coscienza antimafiosa, abbia certezze sui fondi a disposizione in modo da poter programmare le attività da svolgere”. La sua fondazione, inoltre, è già sostenuta dal Miur, il Ministero dell’Istruzione, che finanzia tantissimi progetti nelle scuole e, assieme alla sorella del giudice, si occupa ogni anno di organizzare l’evento dell’Aula Bunker (che in questa edizione ha fatto registrare polemiche e assenze eccellenti, come quelle di Fava, Musumeci e Orlando).

Sarebbe giusto e opportuno, senza voler in alcun modo distribuire patenti di agibilità, che le associazioni, oltre a chiedere contributi per attività meritorie, vadano oltre. E, per citare un passaggio dello statuto della Fondazione Gaetano Costa, il magistrato ucciso a Palermo nel 1980, si occupino fino in fondo di approfondire e diffondere “la conoscenza dei fenomeni mafiosi in tutte le loro manifestazioni”; di elaborare “misure, metodi e strategie di lotta contro la criminalità mafiosa”; di contribuire “alla formazione di una cultura antimafia e di una coscienza civile e democratica per isolare e sconfiggere la delinquenza mafiosa”. Per fare la differenza, laddove gli altri non scuciono una parola.