Fermi tutti. La Sezione Lavoro della Corte Suprema di Cassazione, con una sentenza del 17 novembre pubblicata poche settimane fa, ha messo una pietra tombale sulla possibilità di conferire gli incarichi apicali di dirigente generale ai dirigenti di terza fascia (ex funzionari direttivi). L’ennesima conferma che qualcosa, nel meccanismo ultraventennale adottato dalla Regione siciliana, va rivisto. La notizia di questa sentenza, che Buttanissima ha consultato, arriva a pochi giorni dalle nuove nomine a capo dei dipartimenti, il cosiddetto spoils system. Il governo ha già cominciato qualche giorno fa, chiudendo un primo bando per l’assegnazione di Pesca, Turismo e Affari extraregionali a dirigenti di seconda fascia: nella pianta organica dell’ente ce ne sono appena tre, mentre Salvo Giuffrida, il quarto, non è stato incaricato perché prossimo al pensionamento.

Con una delibera del 20 gennaio, però, ha dato mandato al dipartimento alla Funzione pubblica e Personale di indire un atto d’interpello al fine di “rendere conoscibile a tutti i dirigenti di terza fascia (…) la volontà di attribuire gli incarichi di Dirigente generale dell’Amministrazione regionale”. Unici requisiti richiesti: una “comprovata e documentata esperienza e capacità professionale, preferibilmente nelle materie trattate dal Dipartimento per il quale si presenta la candidatura e, per il Dipartimento regionale per la pianificazione strategica dell’Assessorato della salute, il requisito di comprovata e documentata esperienza e capacità professionale in gestione amministrativa-contabile, programmazione, con particolare riferimento alla sanità territoriale e controllo del settore pubblico sanitario”. Nient’altro a pretendere.

D’altronde la questione andrebbe analizzata da una doppia prospettiva: è vero che esiste una corposa giurisprudenza che non depone a favore dell’attribuzione degli incarichi ai dirigenti di terza fascia; ma è altrettanto vero che la Regione, in attesa di una riforma organica della pubblica amministrazione, richiesta anche da Roma, non può fare diversamente. A fronte di zero dirigenti di prima fascia, e tre di seconda, il resto dei burocrati appartiene a una categoria che esiste soltanto in Sicilia (dal 2000). Non sono bastate le numerose sentenze a far cambiare idea agli inquilini di Palazzo d’Orleans, che si sono rifugiati in mille alibi (da ultimo il blocco del turnover e dei concorsi disposto dal ‘Salva Sicilia’) per evitare di riformare il settore: una soluzione che avrebbe permesso anche ai dirigenti di terza fascia una possibilità di riqualificazione professionale.

Ma torniamo alla Corte di Cassazione. La Sezione Lavoro, composta da cinque magistrati (presidente Antonio Manna), è stata chiamata a pronunciarsi in seguito al ricorso di un superburocrate, Salvatore Taormina, contro una sentenza della Corte d’Appello di Palermo che aveva respinto “la domanda intesa a censurare il mancato rinnovo dell’incarico di dirigente generale del Dipartimento delle finanze e del credito dell’Assessorato Regionale all’economia e comunque il mancato conferimento di un incarico equivalente”. Taormina oggi ricopre l’incarico di capo di gabinetto agli Enti locali. Ma il punto è un altro: cioè la Corte d’Appello, nel caso di specie, aveva condannato la Regione siciliana “al risarcimento del danno in misura pari alla differenza fra la retribuzione percepita in virtù degli incarichi accettati con riserva e quella che sarebbe spettata in base alla qualifica precedentemente rivestita”.

Taormina, in Cassazione, ha presentato un ricorso in tre punti. Il primo fa riferimento al comma 5, articolo 11, della legge regionale 20 del 2003, che nella sua originaria stesura, previa approvazione dell’Assemblea regionale siciliana, consentiva la nomina a direttore generale anche fra i dirigenti di terza fascia. Succede, però, che il Commissario dello Stato, chiamato a pronunciarsi sulla legittimità della norma, espunge dal testo la parte in cui si chiedeva che “l’incarico di dirigente generale può essere, altresì, conferito a dirigenti dell’amministrazione regionale, appartenenti alle altre due fasce”. Segno che non si può fare. Intervenuta la modifica, persino la Corte costituzionale dichiara cessata la materia del contendere. Da qui la decisione della Corte d’Appello di Palermo “di escludere la possibilità di nominare come direttore generale un dirigente di terza fascia”. I giudici della Suprema Corte aggiungono che “proprio l’eliminazione dell’inciso, sospettato di incostituzionalità, ha determinato il superamento dell’opzione – inizialmente perseguita dal legislatore regionale – di estendere l’ambito soggettivo dei potenziali nominandi ai dirigenti di terza fascia”.

I magistrati prendono in esame un altro paio di contestazioni da parte di Taormina: da un lato “l’omesso esame di un fatto decisivo che è stato oggetto di giudizio fra le parti (…) consistente nel fatto che anche successivamente al 2014 l’amministrazione regionale ha provveduto a nominare come direttori generali dirigenti di terza fascia”; dall’altro “la violazione dell’art. 42 c.c.r.l. (…) in relazione alla ritenuta conseguente esclusione dell’applicazione della clausola di salvaguardia di cui alla contrattazione collettiva, senza considerare che l’amministrazione aveva proceduto a diverse nomine di dirigenti di terza fascia, in violazione del canone ermeneutico del comportamento delle parti e della buona fede”.

Anche questi due motivi sono ritenuti “infondati” dalla Corte di Cassazione “in quanto l’eventuale violazione di legge da parte dell’amministrazione, con il perpetuarsi della nomina di dirigenti di terza fascia, non può valere a superare i motivi per pervenire alla corretta interpretazione della disciplina di riferimento. Ne consegue che la ritenuta preclusione normativa della nomina a dirigente generale preclude anche l’applicazione della cd. clausola di salvaguardia”. Il ricorso pertanto è stato rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese del giudizio di legittimità.

I rilievi posti dai tribunali in tutte le sedi evidentemente non bastano a sovvertire una prassi consolidata, che per altro è diventata per Schifani (e per quelli prima di lui) l’unica exit strategy per fronteggiare la carenza di dirigenti e personale in generale. Nell’Accordo Stato-Regione del 2021, richiamato dall’ultimo “Salva Sicilia” (utile alla dilazione in dieci anni del maxi disavanzo), esiste un espresso richiamo alla riforma della pubblica amministrazione e al recepimento delle norme statali in materia di dirigenza pubblica. Ed è illustrata anche la ricetta che prevede di “eliminare le distinzioni tra la prima e la seconda fascia dei dirigenti di ruolo, superare la terza fascia dirigenziale avente natura transitoria con l’inquadramento nell’istituenda unica fascia dirigenziale, agli esiti di una procedura selettiva per titoli ed esami (…) con espresso divieto a regime di inquadramenti automatici o per mezzo di concorsi riservati per l’accesso alla dirigenza”. Serve altro?