Tommaso Dragotto è riuscito nel miracolo di resuscitare la cronaca parlamentare, altrimenti ferma alle ultime variazioni di bilancio. La scazzottata verbale con Renato Schifani, a seguito del concerto di Gigi D’Alessio & friends (iniziativa benefica con qualche reflusso acido, nel rapporto fra l’imprenditore e il governatore), ha finito per spostare le attenzioni. E per deviare la politica dal dibattito rituale, evitandole di affrontare alcune tematiche di scottante attualità che avrebbero nel Parlamento regionale il luogo deputato per qualsiasi approfondimento.
Non si è più parlato della riforma dei Consorzi di bonifica (ma di riforme – insistentemente – non si parla da inizio legislatura); non si approfondiscono i discorsi sull’eventuale coinvolgimento della Sicilia nel conflitto fra USA e Iran; non si affronta neppure l’enorme questione morale che ha investito il presidente dell’Ars, Gaetano Galvagno, e i suoi collaboratori più stretti, come l’esperta di comunicazione Sabrina De Capitani (anche lei indagata dalla Procura di Palermo per corruzione). Dragotto, con la sua polemica insistita, ha sottratto spazio a riflessioni sulla siccità – ci erano già riusciti i dissalatori mobili, pur non essendo una soluzione definitiva alla sete siciliana – e ha oscurato il caso dell’A19, che con tutti quei cantieri rappresenta una metastasi della rete infrastrutturale siciliana.
Ma esisterà o no qualcosa oltre Dragotto? Ecco, parliamone. Meno di una settimana fa l’aula di Sala d’Ercole era stata convocata per discutere una mozione del Pd a sostegno del popolo palestinese, ma la seduta è stata rinviata per l’assenza del governo. «Il Parlamento è il luogo nel quale si discute e ci si confronta – aveva detto il capogruppo dem, Michele Catanzaro – anche su temi sui quali non abbiamo competenze dirette ma che comunque riguardano la vita di tutti noi. Avremmo voluto e dovuto dimostrare il nostro sdegno e il nostro dolore per le atrocità che si stanno compiendo a Gaza e per la guerra che sta interessando il Medio Oriente». Ieri, finalmente, se n’è discusso.
A questo capitolo ne andrebbe aggiunto uno, assai corposo, sugli sviluppi della crisi mediorientale: l’attacco di Israele, la risposta dell’Iran, il cessate il fuoco di Trump. E poi le basi strategiche americane – come Sigonella – che rischiano di essere coinvolte in un possibile conflitto (non ancora scongiurato del tutto). In Sicilia, come riportato da Repubblica Palermo, sono stati individuati circa 1.500 siti sensibili oggetto di rafforzati controlli dopo l’attacco americano in Iran, nel timore di possibili ritorsioni sotto forma di attentati, sabotaggi o cyber attacchi. La ricognizione è stata disposta dal Comitato nazionale per l’ordine e la sicurezza pubblica, presieduto dal ministro Piantedosi, e attuata dai prefetti attraverso i comitati provinciali: 272 i luoghi sorvegliati nella sola Palermo.
Sotto osservazione ci sono le basi Usa di Sigonella e Niscemi, gli aeroporti, i porti crocieristici e militari, i nodi della rete in fibra ottica, le industrie strategiche come Fincantieri e Leonardo, e i siti turistici frequentati da cittadini americani. A Sigonella, sabato prossimo, si terrà un sit-in contro ogni tipo di guerra. Parteciperanno anche esponenti dei partiti d’opposizione.
I discorsi in aula, però, stanno a zero. Il presidente Galvagno, dopo qualche giorno di silenzio, è riapparso in pubblico (e sui social) per promuovere un evento sull’intelligenza artificiale organizzato dalla Fondazione Federico II. In aula – va da sé – sarebbe impossibile affrontare il tema della ‘questione morale’ con la sua conduzione. Che imbarazzo. Le “utilità” promesse ai suoi collaboratori, in cambio dell’organizzazione di contributi pubblici, farebbero sprofondare chiunque per il rossore. La presenza della solita Fondazione Dragotto (è indagata Marcella Cannariato, moglie del patron di Sicily by Car), che avrebbe ricevuto 100 mila euro per due eventi natalizi, non semplifica il quadro. Anzi, rischia di esacerbare gli animi dentro la maggioranza, visto che i due coniugi sono sempre stati assidui frequentatori del Palazzo e dei potenti.
Il pagnottismo ha accezioni molto ampie, e questa vicenda non fa che allargarne i confini. La politica dovrebbe prevenire i comportamenti inopportuni, che rischiano di avere rilievi penali; invece teme persino di pronunciarsi. C’è in gioco la conservazione della specie, e nessuno osa – nemmeno all’opposizione – fare una domanda, approfondire un aspetto, chiedere un chiarimento. Tanto, prima o poi, arrivano i magistrati. Sono gli unici a poter scardinare il sistema, a ridimensionare una prassi consolidata e condizionata da prepotenze e senso d’impunità. Non si tratta di sostituirsi alla giustizia, ma di darsi un tono. Sarebbe un primo passo per riconquistare la fiducia dei cittadini. Macché.
Ma sono tanti i temi in stand-by. Prendete la siccità. Qualche giorno fa Schifani ha salutato l’arrivo dei nuovi dissalatori mobili a Porto Empedocle, Gela e Trapani. Ma quasi nessuno si è soffermato sui reali benefici apportati da questi impianti, a fronte di un investimento da 100 milioni (di cui 90 sborsati da Roma con l’Accordo di coesione): i tre dissalatori garantiranno acqua potabile a circa 132 mila siciliani, appena il 2,76% della popolazione regionale. Ciascun impianto, secondo l’Ordine degli ingegneri di Palermo, potrà soddisfare il fabbisogno di 10-11 mila famiglie di quattro persone, producendo 96 litri al secondo. A titolo di confronto, la sola area metropolitana di Palermo richiede 3.300 litri al secondo, di cui 2.500 solo il capoluogo. Un eventuale potenziamento arriverà dal revamping del dissalatore fisso di Porto Empedocle, che aggiungerà altri 200 litri al secondo, portando la copertura al 4,61% dei residenti. Quattro su cento.
La politica, però, si occupa d’altro. Ma non dei gravi disagi che hanno colpito la viabilità sulla Palermo-Catania: in occasione del controesodo del 2 giugno (le dimissioni dei due sub-commissari, evidentemente, hanno spento le tensioni impellenti), ma anche nei giorni e nelle domeniche successive. Il tratto di strada fra Bagheria e Altavilla, via Casteldaccia, è un incubo. Ma non è abbastanza meritevole da trovare spazio in un dibattito parlamentare, o in un’interrogazione. Che sia necessario affidarsi a Dragotto – o organizzare un altro concerto – per ridare a governo e Parlamento le priorità da cui ripartire?