Le elezioni comunali di Palermo della prossima primavera avranno un’importanza del tutto particolare. Esse riguarderanno il capoluogo dell’Isola, che, ormai da molti anni, ha assunto un ruolo emblematico nel panorama politico non solo nazionale, si svolgeranno a pochi mesi dal rinnovo dell’Assemblea regionale e poi del Parlamento nazionale e, infine, con quella scadenza, si chiude la lunga storia di Orlando nel ruolo di sindaco, anche se non si può escludere che continuerà in forme diverse.

Alla luce di queste premesse, si capiscono, almeno in parte, le recenti fibrillazioni del consiglio comunale e la conseguente rottura tra Italia Viva e il primo cittadino. La fine della sua permanenza a Palazzo delle Aquile apre una fase nuova e crea spazi finora inesistenti, che alimentano aspettative e ambizioni favorite anche dalla convinzione che Orlando non sia in grado di scegliere il proprio successore, non avendo avuto attitudine a far crescere attorno a sé un gruppo dirigente dotato di qualche autonomia e che, dopo molti anni alla guida della città e con risultati non esaltanti sul terreno più propriamente dell’amministrazione, in particolare negli ultimi tempi, non potrà più svolgere un ruolo determinante. Si può ritenere che i renziani siano stati indotti a smarcarsi dalla volontà di prendere le distanze in un momento di debolezza del sindaco, per far dimenticare la lunga partecipazione alla gestione del potere e le conseguenti responsabilità. Un calcolo probabilmente sbagliato.

Il rapporto tra la città e Orlando non è venuto del tutto meno, il suo carisma non è completamente svanito, il feeling per molti versi misterioso tra l’esponente della più alta borghesia palermitana e i ceti popolari non si è spezzato. Anche nelle ultime ore, sembra che sia rimasta la sua abilità nel reagire a situazioni nuove, nel trovare soluzioni impreviste. Per decenni egli ha giocato in proprio dentro la Democrazia cristiana prima, alla guida della sua creatura politica, la Rete, da battitore libero con rapporti mai definiti e vincolanti con i partiti della sinistra. Alla città ha legato il suo nome per un tempo e con una intensità che a nessuno erano mai riusciti, l’ha collocata nel panorama internazionale, conferendole un’immagine nuova e diversa rispetto a quella tragicamente consueta. In essa ha interpretato con straordinaria efficacia il ruolo di cavaliere senza macchia e senza paura, l’ha proposta come luogo dell’accoglienza e della contaminazione, come sede di notevoli esperienze innovative. I risultati della sua amministrazione, come detto, non sono stati all’altezza delle aspettative per difficoltà oggettive e per una scarsa attitudine personale, non avendo curato, peraltro, come avrebbe dovuto, la scelta dei suoi collaboratori.

In questa città, Orlando per decenni ha realizzato un sistema per così dire copernicano. È stato il sole attorno al quale hanno ruotato satelliti privi di luce propria, fungibili, che, se anche dotati di buone capacità, hanno finito inevitabilmente per essere figure di transito delle quali presto si è persa memoria. Dopo la Rete e dopo il breve passaggio da Italia dei valori, Orlando non ha avuto una collocazione precisa, non ha scelto una definitiva appartenenza politica, non ha cercato il sostegno di partiti, di gruppi organizzati, di strutture di rappresentanza, preferendo il rapporto diretto con la gente, con l’opinione pubblica, in una forma che, in certa misura, richiama la logica del populismo. Ha mantenuto le sue posizioni di sinistra, attento in modo particolare ai valori. Ha collocato la quinta città italiana nell’alveo della sinistra. Ha tenuto rapporti altalenanti con i vertici nazionali del Partito democratico, rimanendo nettamente distante dalla sua dimensione palermitana, che, peraltro, non ha mai avuto la forza per imporsi nelle scelte amministrative, finendo in una sorta di terra di nessuno, in maggioranza senza averne un riconoscimento esplicito e senza ottenere un vero coinvolgimento, sempre in attesa di un segnale che non è mai arrivato. Anche nei giorni scorsi, quando era iniziato lo scontro con Italia viva e la segreteria palermitana dei democratici, con una enfasi impropria, aveva comunicato di scegliere l’opposizione, Orlando, con la sua partecipazione all’Assemblea nazionale del partito, ha segnalato una totale indifferenza per quella indicazione locale e per quanti l’avevano assunta.

Malgrado non si possa prevedere cosa succederà da qui alla prossima primavera, è possibile almeno ritenere che le vicende di Palermo e, pochi mesi dopo, quelle regionali, a loro volta a ridosso di quelle nazionali, seguiranno un percorso analogo che terrà conto della peculiare, consistente presenza di forze che caratterizzano la realtà politica isolana, altrove inesistenti o marginali.

Quelle forze potranno essere determinanti per le alleanze e per gli equilibri che si comporranno in vista delle scadenze elettorali. Anzi, proprio a causa della fragilità dei riferimenti nazionali, le scelte saranno fondamentali per il mantenimento della loro presenza o per un pesante ridimensionamento nel ridotto isolano. Indifferentemente con la destra o con la sinistra, i centristi e Italia viva, saranno tentati di giocare le loro carte senza alcun vincolo ideologico e, ancor più degli altri partiti, sulla base della prevalente, se non esclusiva, ricerca della sopravvivenza di gruppi che si sono costituiti in una condizione molto diversa da quella attuale e che hanno mantenuto finora la loro unità e una buona consistenza.

Quando il Partito democratico era al governo della Regione e Renzi, all’apice della sua forza, lo spingeva verso un approdo post ideologico, per trasformarlo in partito nazionale, un calcolo di convenienza spinse parecchi, con storie ed esperienze diverse, ad aderirvi. Lo hanno lasciato, poi, quando non era più al potere in Regione, e quando il senatore toscano, per affermare un protagonismo tutto personale e per speronare e affondare il suo vecchio partito, armò un bastimento che si rivelò una malconcia barchetta. La ciurma palermitana, quella catanese, che ora pare tentata di sbarcare, e quella di Sala d’Ercole, erano salite a bordo e vi sono rimaste, tenute da una indubbia capacità manovriera di Faraone e aiutate dalla vicinanza al potere regionale e dalla diretta gestione di quello palermitano.

Nell’amministrazione della città capoluogo, Italia viva ha avuto un rapporto privilegiato con Orlando, ha gestito due assessorati e due importanti aziende municipalizzate, e, fino a poche settimane addietro, nulla lasciava prevedere che si arrivasse allo scontro per intraprendere una rotta diversa.

Non si può essere sicuri che i percorsi annunciati in questi giorni, quello indicato da Orlando per un’alleanza tra il Pd, il Movimento cinque stelle e gruppi civici e quello della destra, che ingloberebbe Italia viva, saranno gli stessi nei prossimi mesi.

C’è tempo per novità e per colpi di teatro e anche per un ripensamento dei consiglieri che sono usciti dalla maggioranza. Rimane aperto a sviluppi imprevedibili il panorama di Sala d’Ercole, dove non si compone il contrasto tra Musumeci e Miccichè, il quale anzi continua a prospettare la trasposizione in Sicilia della maggioranza che sostiene Draghi e di fatto, al di là della formula proposta, che neppure a Roma sta dando ottima prova di sé, rifiuta la costituzione di un blocco di destra che vedrebbe Forza Italia fagocitata dalla Lega e gli avversari interni più forti per regolare i conti con lui.

Non si capisce cosa voglia fare Renzi, se vorrà rimanere alla guida di un piccolo partito che non decolla o se sta preparando acting out diversi da quelli della politica. Non si può prevedere se Italia viva manterrà la propria unità, se il centro destra marcerà compatto verso le scadenze elettorali, cosa sarà, se ancora sarà, il Movimento cinque stelle, quale ruolo vorranno giocare i gruppi di centro. Anche con le sue anomalie, la realtà siciliana non si potrà sottrarre alla scomposizione provocata dal governo nazionale e dal processo di resettamento dell’intero quadro politico.

C’è da aspettarsi che a Palermo lo spazio per il fantasioso protagonismo di Orlando non sia esaurito e, comunque, in forme diverse, se pure meno incisive che nel passato, egli avrà un ruolo determinante nelle prossime scelte. Bisognerà attendere che il processo di trasformazione del Movimento cinque stelle arrivi, se arriva, al suo compimento, e che, sulla visione aprioristicamente e confusamente ideologica, prevalgano la politica e le sue regole, che non possono essere quelle dell’isolamento, dell’irrilevanza, della sterile proclamazione della diversità, né quelle “né di destra né di sinistra”.

Occorrerà capire se il Partito democratico sarà in grado di avere una posizione forte e unitaria per rappresentare la sinistra riformista. Suscita ilarità infatti leggere che a Palermo, dove quel partito non arriva a due cifre, ci sono gli “orfiniani”, che probabilmente, all’insaputa di tutti, rappresentano le masse popolari, e quelli di “base riformista”, che saranno, senza essere riconosciuti da nessuno, fortemente presenti nei quartieri periferici.

Quando ancora manca un anno alle elezioni, i partiti più responsabili dovrebbero impegnarsi a immaginare e a proporre la città degli anni futuri, quella che, mantenendo il volto dell’accoglienza e della contaminazione, dell’isolamento e della sconfitta della mafia, trovi una via per lo sviluppo, per la modernizzazione, per la qualità dei servizi, per la cucitura tra centro e periferie, liberandole dal degrado e dall’isolamento.