Macron è impopolare. Bayrou, il democristiano, il centrista, fa le valigie con tutta l’austerità incorporata nel suo bilancio, arrivando persino ad abolire due festività nel Paese della festa continua e delle pensioni giovanili. A parte i suoi errori, Macron resta un presidente liberale: già è un miracolo che abbia portato a termine un mandato e mezzo. Presidente dei ricchi, come fu Giscard d’Estaing che però si fermò a uno solo, in una Francia che ama compiacersi di essere giacobina e barricadera anche quando al potere ci sono i conservatori, che si chiamino mon général come de Gaulle o un professore di liceo di provincia come il gollista Pompidou. E ora, forse, toccherà a un altro docente liceale come Mélenchon, trombone della Francia indomita e frontista di sinistra, oppure a Marine Le Pen, frenata dai processi, o ancora al giovane sperimentale Jordan Bardella, frontista di destra rifatto di bel nuovo. Ma liberali, no, mai.

Chissà che le macumbe dei liberali e dei conservatori non riescano a sbarrare la strada ai nuovi barricaderi. Non sembra facile, però, per i residui del gollismo d’antan e per il giovane un po’ flebile e brillante Glucksmann, socialdemocratico tinto di liberalismo militante, malgrado la pesantezza del bilancio pubblico e gli altri grandi rischi legati, da un lato, all’antisemitismo ducesco di Jean-Luc Mélenchon e, dall’altro, alla fobia xenofoba degli eredi di Jean-Marie Le Pen.

L’unico che era riuscito a domarli, i francesi, per ben quattordici anni, era stato François Mitterrand: un vichista trasformista riciclato in socialista, che vinse con un programma di nazionalizzazioni e sull’odio per l’argent, il denaro, per poi procedere con le astuzie del fiorentino, spalleggiato da un capitalismo arrembante e mascherato. Dopo di lui, il centro socialdemocratico di Hollande e la destra moderata e modernizzatrice liberaloide di Sarkozy fecero solo cattiva figura: un’incompiuta. Continua su ilfoglio.it