Dalla composizione delle liste di Fratelli d’Italia in Sicilia, emerge un dato su tutti: a parte la Brambilla, candidata in quota Fdi e ‘paracadutata’ dalla Lombardia, l’altro (unico) ospite è un personaggio assai noto ai siciliani: Nello Musumeci. Oltre ad aver contraddetto se stesso – solo due mesi fa rimarcò di non accettare il baratto fra palazzo d’Orleans e un seggio al Senato – stupisce, ma fino a un certo punto, un altro elemento: Musumeci è l’unico esponente di Diventerà Bellissima nel contenitore della Meloni. L’unico. Si era parlato del ‘delfino’ Ruggero Razza, dell’amico di sempre Gino Ioppolo (ex sindaco di Caltagirone non ricandidato), dell’eminenza grigia della destra catanese, Enrico Trantino. Nessuno di loro, però, è stato arruolato da Giorgia, che ha preferito concedere la scena al solo meritevole di ricompense: Musumeci.

Il governatore, che s’era dimesso prima di Ferragosto per garantire l’Election Day anche in Sicilia (“Un gesto d’amore”, l’hanno definito i discepoli più ferventi), è stato idolatrato a lungo da Meloni e La Russa, che almeno pubblicamente si erano impuntati per concedergli una seconda possibilità alla Regione e ora è l’unico ‘blindato’ per un posto a Palazzo da Madama (è in corsa all’uninominale, ma è anche capolista nel collegio proporzionale di Catania e Acireale). Dietro di lui anche Salvo Pogliese, che la Meloni ha caricato a bordo nonostante i guai processuali. Il sindaco “sospeso” di Catania, che ha scelto di dimettersi dalla carica all’ultimo giorno utile per potersi candidare alla Camera, è terzo alle spalle di Musumeci e Bucalo (deputata uscente di Messina), ma per effetto di una serie di incastri già studiati a tavolino (gli altri due sono schierati, come detto, nel ‘corpo a corpo’ dell’uninominale), non avrà difficoltà a essere eletto. Pogliese si porta dietro un’avventura disastrosa come sindaco di Catania, dove ha amministrato a singhiozzo e male (giurano i detrattori) a causa delle vicende giudiziarie che ne hanno minato l’attività e il percorso politico e personale.

Pogliese è stato condannato in primo grado a 4 anni e 3 mesi per peculato, nell’ambito del processo sulle spese pazze all’Ars. La Chinnici l’avrebbe escluso dalle sue liste per un semplice sospetto. La Meloni, quella del partito dell’ordine e della legalità, invece no. Pogliese merita ospitalità in parlamento finché la sua posizione non verrà stralciata (o confermata) dai giudici. L’altro esponente di spicco dell’universo meloniano nell’Isola, che ha usato in maniera spregiudicata le casse dell’assessorato regionale al Turismo, dirottando milioni e milioni verso l’editore Cairo e verso Mediaset per accrescere l’immagine della Sicilia nel mondo, è Manlio Messina. Anch’egli premiato con un seggio praticamente certo. E con una presenza nelle trasmissioni del Biscione, dove si erge a commentatore della guerra in Ucraina o degli aumenti in bolletta. Messina, che si era stretto attorno a Musumeci perorandone la causa in maniera feroce, è stato ricompensato della sua fedeltà e del suo attivismo, nonostante un pezzo di partito, assai più moderato, lo guardi con sospetto. Il Cavaliere del Suca ce l’ha fatta.

Per il resto Meloni ha dato spazio al nucleo storico: da Carolina Varchi a Francesco Ciancitto, fedelissimo di La Russa; dal palermitano Francesco Scarpinato, forte della gavetta in Consiglio comunale, a Raoul Russo, commissario provinciale del partito e factotum dell’assessorato al Turismo (anche con Pappalardo, il predecessore di Messina); da Luca Cannata, giovane ed energico sindaco di Avola, a Salvo Sallemi, già candidato a sindaco di Vittoria, che è stato sollevato dall’imbarazzo di uno scontro all’Ars con il deputato ibleo caro a Musumeci, Giorgio Assenza. Ecco: soltanto all’Assemblea regionale si aprono spazi interessanti per i reduci di Diventerà Bellissima: ci sono pure gli uscenti Alessandro Aricò e Giusy Savarino, oltre alla new entry Marco Intravaia, fin qui segretario particolare del presidente della Regione.

Ma sotto il simbolo di Fratelli d’Italia si candidano pure gli “stampellisti” di Attiva Sicilia: dalla vicepresidente di Sala d’Ercole, Angela Foti, passando per Sergio Tancredi, uscente di Mazara. Ma la più celebre è senz’altro l’enfant prodige della politica siciliana: l’ennese Elena Pagana. Di Troina per la precisione, dove sorge il famoso istituto di cura per i disabili che il marito Ruggero Razza, stando a un’inchiesta de ‘La Sicilia’ di Catania, avrebbe assoggettato agli interessi di Diventerà Bellissima, distribuendo una serie di incarichi e consulenze che sono finite nel mirino di Sacra Romana Chiesa (che gestisce l’Oasi), fino alla revoca del direttore generale Claudio Volante (nominato da Razza in forza di una convenzione da 50 milioni l’anno per dieci anni fra l’Irccs e la Regione). La Pagana, in questa competizione elettorale, si candida (nel collegio di Enna) al posto del potente assessore alla Salute, che sembra voglia rispettare un giro di stop.

La notizia è che non passerà dal listino di Schifani (sette posti ‘blindati’), almeno così dice. “Non mi fermo davanti alle polemiche, alle facili ironie – ha subito avvertito la giovane deputata, che all’Ars era stata eletta col Movimento 5 Stelle, prima di convolare a nozze con il centrodestra – Tante cose sono accadute in 5 anni ed io ho scelto di stare accanto a un presidente onesto, competente, autorevole (Musumeci, ndr). A lui oggi è affidato il compito di rappresentare la Sicilia nelle istituzioni nazionali, per cercare di avere a Roma interlocutori come in questi anni non abbiamo avuto”. “Sarà una maratona vera e propria – avverte Pagana -. Una maratona difficile, ma grazie alla scelta di Giorgia Meloni di correre anche in Sicilia difenderemo la bandiera che oggi svetta più in alto in tutti i sondaggi. Per questo cercherò volti e condivisioni, mentre non attendo alcun paracadute o listino. Come cinque anni fa nessuno ci credeva, ma poi è arrivato un risultato straordinario. Io ho lo stesso entusiasmo di allora e niente e nessuno me lo farà perdere”.

Questa è Fratelli d’Italia nell’Isola: un purpurrì di candidati i tutte le estrazioni, dai neofascisti agli ex grillini. Finiscono tutti sulle spalle di Giorgia, grazie a un patto federativo che Musumeci aveva stipulato con lei al solo scopo di garantirsi la rielezione a palazzo d’Orleans. Saltato il piano-A, resta pur sempre un piano-B da onorare. A beneficiarne saranno in tanti.