Alla Regione non è tempo di rimpasto, per una moltitudine di motivi. Non c’entra il fatto che gli assessori stiano lavorando bene – alcuni settori, come la Formazione di Turano, sono in stallo – semmai la difficoltà degli interlocutori di Schifani nel trovare terreno fertile.

Forza Italia è il partito del presidente e, nonostante le beffe più clamorose, ha deciso di sopportare in silenzio la gestione di Marcello Caruso; Fratelli d’Italia si è incaponita sulla sanità (e ha già quattro rappresentanti nell’esecutivo). A reclamare un posticino in giunta era stato, di recente, il leader del Mpa e di Grande Sicilia, Raffaele Lombardo. Convinto di poter mettere pressione sul governatore grazie al nuovo esercito di cui fanno parte anche Micciché e Lagalla. “Tra le ragioni per le quali registro il disagio all’interno della coalizione – diceva l’ex governatore intervistato da Blog Sicilia – c’è una sproporzione tra il consenso ottenuto alle elezioni e le responsabilità che sono state attribuite in giunta. Noi abbiamo avuto gli stessi identici consensi della Lega, un poco più della DC, eppure quei due partiti hanno due assessori ciascuno. Secondo me addirittura uno in più, tre, la Lega”. Con riferimento alla Faraoni, subentrata alla Sanità grazie (anche) alle ottime referenze di Sammartino.

Ma il punto è un altro: cioè che il Mpa è falcidiato dalle sventure. E sebbene abbia ricevuto un consenso pari a quello della Lega, il gruppo parlamentare autonomista è meno nutrito rispetto a quello del Carroccio e anche della Democrazia Cristiana. In parlamento fanno fede i deputati, mica i consensi ricevuti nelle urne. Ma andiamo con ordine: dopo l’arresto di Giuseppe Castiglione per una vicenda legata al voto di scambio (ora è ai domiciliari), la Legge Severino ne ha sancito la sospensione. Al suo posto è arrivato Alessandro Porto, cioè il primo dei non eletti: che però ha deciso di iscriversi al gruppo ‘Misto’, abbandonando il partito che ne aveva sancito il risultato alle Regionali. Una specie di traditore.

Il contingente degli Autonomisti, che al momento delle elezioni si erano fusi coi Popolari di Saverio Romano, è quindi sceso da cinque a quattro. Uno di questi, Ludovico Balsamo, è stato “prelevato” da Sud chiama Nord di De Luca. Un altro, l’ex assessore Roberto Di Mauro, deve fare i conti con questa enorme tegola dell’inchiesta per frode e turbativa d’asta: è indagato dalla procura di Agrigento. Mentre Micciché, nonostante la fusione a freddo, ha scelto per il momento di tenersi le mani libere (almeno in aula). Come fai a richiedere un secondo assessore? Sia Lega che Dc viaggiano col vento in poppa di cinque parlamentari e sono tra i partiti più fedeli a Schifani e al suo governo. Non solo dal sostegno a Sala d’Ercole – che altri spesso camuffano col voto segreto – ma anche nelle dichiarazioni di principio.

Totò Cuffaro ieri ha ribadito la propria vicinanza a Schifani, reduce da alcune minacce per la questione dei termovalorizzatori: “Da ex presidente comprendo bene le delicate questioni legate alla realizzazione dei termovalorizzatori – ha scritto Cuffaro – e conosco l’importanza di affrontare temi complessi con fermezza e determinazione. Schifani non si farà intimorire e continuerà a lavorare, con il nostro pieno appoggio, per la realizzazione dei termovalorizzatori, uno dei programmi ai quali tiene la DC e il governo regionale”. Attorno al presidente si sono coalizzate tutte le forze politiche per fargli coraggio, incentivarlo a non mollare, a non farsi influenzare nelle scelte politiche e d’indirizzo amministrativo. Come quella che riguarda la monnezza.

Sebbene Palazzo d’Orleans abbia scelto di non commentare la notizia rivelata da Adnkronos, la condanna non può che essere unanime. Così com’è ovvio che la posizione di Schifani ne esca rafforzata. Anche un vecchio rivale come Cateno De Luca s’è fatto sentire. Ma nel suo messaggio, oltre a un abbraccio e un invito ad andare avanti, c’è qualcosa di più. Una riflessione su vincitori e vinti che, dati gli avvenimenti degli ultimi sei mesi, diventano rappresentativi del rapporto fra i due (e forse del futuro insieme): “Io a settembre 2022 sono uscito sconfitto dalle urne e Renato Schifani è stato eletto Presidente della regione siciliana: il popolo ha scelto ed è il nostro padrone! – ha scritto Scateno – Io amo la Sicilia ed il mio tempo non lo voglio impiegare per contrastare la volontà popolare ma per supportare la volontà popolare”. E ancora: “Non è necessario fare i bastian contrari o andare controcorrente per dimostrarsi custodi del fuoco sacro perché le sentenze del Tribunale della Storia prima o poi arrivano per tutti”.

Ecco, cosa c’entra questo col rimpasto? Ovviamente nulla. Ma se ci fosse davvero qualcuno legittimato a chiedere un rimpasto, per metterne in giunta uno dei suoi, quello è Cateno De Luca. In un colpo solo ha aperto un’autostrada al presidente della Regione: a) per mostrarsi un padre di famiglia, comprensivo e commiserevole quasi quanto San Francesco (sulla provincia di Messina e su Taormina piovono interventi considerevoli); b) togliendogli il peso di un’opposizione asfissiante, com’era accaduto nella prima parte della legislatura grazie al suo ruggito.

Fin qui De Luca ha resistito anche alle sirene di Fratelli d’Italia, che vorrebbero costruirgli un ponte d’oro per le prossime esperienze elettorali. Si è defilato dalla politica e ha cambiato mestiere: da guitto a federatore. Fa il sindaco con circospezione e la sua cifra è diventata il bon ton istituzionale. Ora anche gli abbracci. Più che un assessore meriterebbe una statua.