Col referendum sui magistrati la premier rischia, e questo lo sappiamo. In caso di sconfitta resterebbe a Palazzo Chigi però azzoppata: pure qui non ci sono dubbi. Meno si parla invece dei pericoli che corre Schlein, come se la segretaria Pd avesse solo da guadagnare e nulla da perdere dallo scontro sulla riforma Nordio. Ragionandoci a mente fredda, non è così semplice come appare. Tra le due, per certi versi, ha addirittura più convenienza Meloni. E d’altra parte, se Giorgia ha deciso di puntare sulla giustizia, vuol dire che ha fatto i suoi conti; si sarà convinta che il gioco per lei vale la candela. Elly invece non ha scelto nulla; è in prima linea suo malgrado; si ritrova a combattere una battaglia di cui, probabilmente, farebbe a meno (ma non può sottrarsi). Proviamo a metterci nei suoi panni.

Anzitutto: la separazione delle carriere è materia ostica, scivolosa. Difficile riempirci le piazze come per Gaza. Là sono bastate le immagini della tivù, da una parte i bambini palestinesi dall’altra i carri armati. Ma qui, come può un cittadino normale sapere se sia meglio mantenere un solo Csm o crearne due separati? Per quale motivo lo sdoppiamento e le elezioni a sorteggio renderebbero i pubblici ministeri sottoposti al potere politico? Una risposta magari c’è, di sicuro però non è intuitiva. Tanto più che personaggi simbolo della cultura giustizialista e perfino “manettara”, come Antonio Di Pietro, sostengono l’esatto contrario: in base alla sua esperienza di super-poliziotto la riforma sarebbe un bene perché i pm diventerebbero ancora più indipendenti e intrattabili di quanto sono già oggi.

Nei comizi Elly faticherà a spiegare come mai il suo stesso partito accarezzò l’idea della separazione, e numerosi esponenti le resteranno fedeli. Voteranno “sì” personaggi di levatura come Goffredo Bettini, Stefano Ceccanti, Claudia Mancina, Enrico Morando, Giorgio Tonini, Vincenzo De Luca. Inoltre Claudio Petruccioli, figura storica. Non del Pd ma certamente autorevole Emma Bonino: anche ammesso che siano tutti in errore, danno la dimostrazione vivente di quanto sarà complicato demonizzare la riforma, mostrificarla, districarsi nel ginepraio delle opinioni. La possibilità di trasformarsi da inquisitori in giudici (e viceversa) non è materia di fede nemmeno a sinistra, figurarsi tra gli indecisi che sono tanti, secondo i sondaggi, anche perché l’immagine dei magistrati non è più quella di Falcone e di Borsellino. Continua su Huffington Post