Cuffaro è “sconcertato” per il voto dell’Assemblea regionale, determinato dai franchi tiratori, che vanifica il lavoro della Democrazia Cristiana per riportare i siciliani alle urne ed eleggere i presidenti delle province. I suoi deputati, Abbate e Pace, si dicono “interdetti nel sentire che l’onorevole Assenza”, capogruppo di Fratelli d’Italia, “chieda l’elezione di secondo livello, dopo che, mesi addietro, tutte le forze di maggioranza hanno sottoscritto, in maniera compatta, il programma del presidente Schifani”.

Nemmeno il tempo di rimuovere le macerie provocate da dodici (almeno) franchi tiratori, che il centrodestra riprende a litigare. A rendere il pomeriggio dell’Ars meno surreale è l’incrocio di spade fra FdI e la DC sul futuro di una riforma che – come evidenziato dal naufragio – non raccoglieva i favori del centrodestra. Se tutti quelli che hanno esternato rammarico per l’esito della votazione, avessero convinto i propri gruppi a votare compatti (dalla Lega a Forza Italia passando per i patrioti) forse l’articolo 1 sarebbe stato approvato, e la legge pure. Ma così non è. Il litigio pubblico, meglio del rammarico di circostanza, restituisce una visione plastica di ciò che è diventato il centrodestra in questa regione.

Ma c’è un altro dato che fa saltare dalla sedia. E’ una questione di algebra. Schifani, con la sua vittoria da rullo compressore, aveva fatto eleggere 40 deputati di maggioranza (compreso il presidente e gli assessori “eletti”). Al netto della perdita di Micciché strada facendo, il centrodestra aveva arricchito il proprio squadrone con l’acquisto di Salvo Geraci, transfugo di Sud chiama Nord. Insomma, dovrebbe puntare (tuttora) su 40 deputati. Invece, col voto segreto, sono venuti fuori soltanto 25 voti.

Erano assenti Galluzzo e Auteri (FdI) oltre all’autonomista Carta. La maggioranza poteva contare su 37 parlamentari. Sarebbero bastati 33 voti per andare avanti con l’analisi del testo e il sogno di 300 nuove poltrone. Ne sono arrivati una dozzina in meno. In aula è stata un’ecatombe. E’ questo il dato che conta. Schifani ha perso per strada un terzo del suo contingente iniziale e ogni occasione per ricordarglielo diventa umiliante. Lui, immemore delle promesse – servire i siciliani – se ne frega. Va avanti con quelli del cerchio magico, si inventa incarichi per i consulenti, promette mare e monti a Caruso (persino la presidenza della provincia di Palermo). Non gli rimane nient’altro. Solo il rossore.

L’incontro con Galvagno

All’indomani del mercoledì nero, il presidente della Regione Renato Schifani ha incontrato Gaetano Galvagno, presidente dell’Ars, ma ha rinviato per l’ennesima volta la crisi. “A proposito del voto di ieri sulle Province, si è convenuto sul fatto che la mancanza dei voti necessari per l’approvazione del disegno di legge fosse imputabile a più forze politiche e non a un solo gruppo parlamentare – si legge nel comunicato diramato dalla presidenza dell’Assemblea -. Sia il presidente Schifani che il presidente Galvagno hanno espresso il proprio rammarico per il fatto che i deputati che hanno votato contro il ddl non abbiamo manifestato il loro intendimento prima del voto d’Aula, fornendo invece ampie rassicurazioni al presidente della Regione, poi smentite dai fatti”.

“I due presidenti – continua la nota – hanno poi anche concordato sul fatto che incidenti di questo tipo non siano più accettabili, a maggior ragione su temi che rappresentano i pilastri del programma di governo. Il presidente Schifani ha comunicato al presidente Galvagno che, nel caso in cui fatti del genere dovessero ripetersi, verranno assunte decisioni politicamente importanti”.