Il “doveroso segno di rispetto” per la morte del presidente Berlusconi costerà all’Ars un’altra settimana di stasi. Che sommate alle altre, significherà aver portato a casa quasi niente nel primo anno di legislatura. Al netto della leggina esitata la settimana scorsa, sull’attribuzione della qualifica dirigenziale al personale medico delle aziende universitarie ospedaliere, l’Assemblea regionale è un disco rotto che non produce nulla. O quasi. In questo primo scorcio del governo Schifani, al netto delle leggi di Bilancio e di Stabilità (quest’ultima pesantemente impugnata da Roma), non si ricorda alcuna riforma di settore e persino i propositi di sfiducia – quelli preparati da M5s e De Luca sull’ex assessore al Turismo Scarpinato – sono finiti nel dimenticatoio. Ma ciò che preoccupa maggiormente è il menu asfittico che separa i deputati dalle ferie: sembra che l’unico argomento degno di nota sia una legge per la reintroduzione dell’elezione diretta nelle province.

Ma andiamo con ordine. Il presidente dell’Ars Galvagno, accogliendo l’invito di Schifani, ha deciso di rinviare la seduta in programma ieri: se ne riparlerà martedì prossimo, 20 giugno. La richiesta del governatore, che ha spostato anche la giunta di governo (dove si sarebbe discusso, probabilmente, di rimpasto) nasce “al fine di onorare questa figura così importante per tutto il mondo politico italiano”, Berlusconi appunto. “Questo lutto – scrive Schifani – è certamente un sentimento condiviso trasversalmente, per ciò che egli ha rappresentato per l’intera nazione, e non soltanto per gli italiani, che in questi anni si sono sentiti di appartenere e di essere rappresentati da questa parte politica”. Galvagno non poteva non accodarsi. Pertanto ha prorogato di una settimana le vacanze dei deputati, che già in occasione della lunghissima campagna elettorale per le Amministrative, avevano marcato visita più volte. A tal punto da rendere impossibile l’approvazione dei debiti fuori bilancio, che ormai da settimane sono richiamati nell’ordine del giorno di Sala d’Ercole.

E se il Cav. era uno stakanovista, prima nel lavoro e poi nella politica, non si può dire lo stesso del governo e dell’Assemblea. Con una dovuta precisazione, che poi funge da spartiacque. La dichiarazione di Galvagno dello scorso 10 maggio: “L’Aula può rimanere aperta anche h24 ma ci vuole carne al fuoco da mettere – spiegò il massimo inquilino dell’Ars ai giornalisti -. Ci sarà un confronto col governo”. “I rapporti col governo Schifani sono ottimi – aveva aggiunto – aspettiamo che ci dia le priorità che intende portare avanti. Auspichiamo che in tempi celeri ci trasmetta quello che ritiene opportuno portare in aula”. Schifani, nel giro di qualche giorno, avrebbe convocato i capigruppo parlamentari della maggioranza per fissare una deadline delle future operazioni, senza soffermarsi – tuttavia – sull’aspetto dirimente dell’intera vicenda: ossia la produzione degli assessori. Più di un deputato, anche della maggioranza, faceva notare di aver depositato centinaia di disegni di legge, che però non varcavano neppure le soglie delle commissioni. Forse per l’inadeguatezza dell’esecutivo nel dare un indirizzo ai lavori e alle priorità, che tuttora non si conoscono.

O forse sì. Perché, di fatto, esiste una sola priorità: la legge sulle province. Ne è testimone l’assessore agli Enti locali, il democristiano Andrea Messina, che a Live Sicilia ha confidato di non temere l’impugnativa da parte del Consiglio dei Ministri, spauracchio agitato da qualche giurista in quota centrodestra. “Calderoli che è il Ministro delle Riforme ci ha detto che rientra nel programma del governo la reintroduzione delle province e siccome eventuali impugnative le fa il Consiglio dei ministri…”. A rigor di logica non dovrebbe accadere nulla e Palermo può legiferare – così dicono gli addetti ai lavori – pur in assenza di legge abrogativa della riforma Delrio, che rappresenta un vincolo per tutte le regioni. Non solo la Sicilia. Ma poiché i tempi per ottenere la nuova riforma in salsa sicula potrebbero dilatarsi – si spera che entro un mese verrà esitata dalla commissione Affari istituzionali – il governo ha depositato un’altra proposta che prevede la proroga dei commissari dei Liberi Consorzi fino al 30 settembre 2024. Si tratterebbe di una norma tecnica per evitare che alla prima scadenza, quella del 31 agosto, si debba procedere con l’elezione dei vertici provinciali (sarebbero chiamati al voto sindaci e consiglieri comunali) per poi tornare indietro.

Un bell’inghippo di cui – è lampante – ai siciliani frega meno di zero. Con tutto il rispetto per gli enti intermedi e per chi si candiderà a rappresentarli. Le province costituiscono un grosso nodo da quando Crocetta, nel 2013, decise di sopprimerle in diretta tv, da Giletti, senza prevedere una contropartita efficace per lo svolgimento delle funzioni scoperte. Il Pd, tuttora, non ci vede chiaro: “Siamo pronti a sostenere speditamente questo percorso poiché gli enti di area vasta vivono ormai da troppi anni una condizione di incertezza, tra proroghe ed annunci non realizzati. Giovedì 15 giugno – dice Michele Catanzaro, capogruppo dem – scade in commissione Affari istituzionali il termine per la presentazione degli emendamenti al disegno di legge che prevede il ritorno all’elezione diretta e siccome questa riforma è stata fino ad ora sostenuta, almeno a parole, dal presidente Schifani, sinceramente facciamo fatica a comprendere il motivo per il quale il governo ha recentemente presentato un ulteriore disegno di legge che intende differire al 30 settembre 2024 le elezioni di secondo livello in caso di mancata approvazione della riforma delle province entro il prossimo 31 luglio, anche perché l’ultimo tentativo di proroga è stato impugnato lo scorso autunno. Il presidente Schifani ha il dovere di fare chiarezza sul percorso che intende seguire, così come chiediamo si faccia chiarezza sulla manovra correttiva annunciata nelle scorse settimane dall’assessore Falcone, una manovra della quale, però, non si è saputo più nulla”.

E’ questo l’altro nodo: un ddl “collegato” che vada a compensare la stangata di Palazzo Chigi sull’ultima Finanziaria, che mette a rischio 800 milioni a valere sui fondi di Sviluppo e Coesione. Un percorso stoppato sul nascere dal ministro Fitto e dal “governo amico” di Roma: le cifre impegnate dalla Regione per alcuni provvedimenti (tra cui l’aumento ai Forestali e i fondi d’investimento per i Comuni) non sono effettivamente nella disponibilità di Palazzo d’Orleans. Nell’attesa che lo diventino – il verdetto arriverà non prima di settembre – serve una manovra correttiva che imputi la spesa su altri capitoli di bilancio. Sembrava tutto pronto alla vigilia delle Amministrative, ma il solito giochino degli emendamenti aggiuntivi – con richieste d’ogni tipo da parte degli onorevoli – ha convinto il governo a fermare tutto. Meglio smaltire le tossine elettorali e, poi, riprovarci. “La scomparsa di Silvio Berlusconi – rilancia il Pd – ha determinato una nuova sosta dell’attività dell’Ars, ma ci sono scadenze che si avvicinano ed il governo Schifani ha il dovere di chiarire la propria posizione in merito ad alcuni temi che non possono più restare nel limbo”.

In effetti l’attività dell’aula, in questa prima parte di legislatura, è risibile. Galvagno, in quella famosa conferenza stampa da cui nacque la frattura con Schifani (poi ricomposta, almeno pubblicamente), aveva consegnato ai giornalisti alcune perplessità riguardanti le poche leggi approvate (appena 7), le sedute d’aula e di commissione (in calo rispetto a cinque anni prima) e soprattutto le impugnative: 66 articoli su 143 approvati, pari al 46,15%, a fronte dei 17 impugnati rispetto ai 132 approvati nel 2018. L’unica risposta a questi numerosi impietosi è rappresentata da una narrazione per titoli: si faranno la riforma dei beni culturali, quella della polizia locale, quella dei consorzi di bonifica. Già, ma quando? Da qui alle ferie estive, se va bene, c’è un mese di lavoro. Il 25 settembre ci sarà il primo anniversario del trionfo elettorale. Quello dell’insediamento dell’Ars ricorre, invece, il prossimo 10 novembre. E’ quasi passato un anno. Inutilmente.