Il voto finale non ha riservato sorprese: la Finanziaria è passata con 29 voti favorevoli e 23 contrari. Ma l’iter che ha portato all’approvazione della Legge di Stabilità ha portato con sé le solite evidenze: il centrodestra è lacerato, il centrosinistra fa da stampella. Così la legislatura va avanti senza scossoni, se non fosse il costante intervento dei magistrati che mette a nudo i vizi più reconditi di certa classe politica. Su tutti, il clientelismo.
Anche nel messaggio di Galvagno, che striglia i gruppi parlamentari a seguito della nottata di trattative, emerge l’unico indizio che sa di conferma: “Qui c’è gente che ha incassato e gente che è rimasta a bocca asciutta”. La Vardera minaccia l’esposto in Procura, ma questa volta il campo largo fatica a far emergere le spaccature e le responsabilità. Il voto segreto ha poca presa sui deputati e il voto palese nominale, che concede 21 milioni di “riserve” ai comuni (cioè soldi spartiti senza prerequisiti oggettivi), conferma che l’unico interesse del parlamento è approvare le norme territoriali. Inoltre, il via libera alla manovra è arrivato con oltre un’ora di ritardo per la richiesta del capogruppo del M5s Antonio De Luca di votare le tabelle per parti separate contestando gli aumenti per le spese di eventi concessi agli assessorati alle Attività produttive e al Turismo: l’aula ha votato capitolo per capitolo con alcuni tentativi di voto segreto del M5s non andati a buon fine.
Non ci sono stati, tuttavia, maxi emendamenti: ci saranno tre “collegati” alla ripartenza di gennaio, con all’interno mance e norme ordinamentali. Mentre Schifani, durante gli auguri all’Astoria Palace, già agita l’esca dei due miliardi di avanzo da spendere con la prossima Finanziaria, in piena campagna elettorale (sempre che la Corte dei Conti concluda la parifica degli ultimi rendiconti). Al momento l’Assemblea manda in porto una manovra più snella dei 128 articoli di partenza, meno della metà, offrendo a Schifani il privilegio di alcuni risultati annunciati dal governo: il South working, la decontribuzione per le imprese che assumono, il rafforzamento delle Zes, la stabilizzazione dei Pip a 25 ore, quella dei trattoristi dell’Esa, il fondo triennale per l’editoria. Tutte cose per cui sia Galvagno che l’assessore Dagnino – quelli di Forza Italia insistono per cacciarlo – lodano l’impegno dell’aula e la responsabilità delle opposizioni. E’ facile capirne il motivo.
Alla fine alla Finanziaria manca il voto dei deputati autonomisti, di tutti i deputati autonomisti, mentre Fratelli d’Italia, che ha tirato le fila del discorso, apre uno squarcio sui precari: per quelli “ancora impiegati part time va fatto un ulteriore sforzo per aumentare il monte orario lavorativo portandolo verso il tempo pieno – dice il capogruppo Assenza -. Si tratta, infatti, di operatori che da numerosi anni continuano ad essere utilizzati solo per 18 o 24 ore settimanali, nonostante siano fondamentali per il buon funzionamento delle amministrazioni locali. Il nostro auspicio, pertanto, è che sia stanziata prima possibile dalla Regione una ulteriore dotazione finanziaria per garantire in pieno i legittimi diritti di questi lavoratori e contemporaneamente migliorare i servizi offerti ai cittadini”.
Fratelli d’Italia, che ha visto la bocciatura di due articoli cari all’assessore al Territorio, Giusi Savarino, ha condotto i lavori d’aula assieme al Movimento per l’Autonomia, a Pd e Cinque Stelle, tagliando fuori per lunghi tratti Forza Italia. I parlamentari azzurri se ne sono lamentati col coordinatore pro-tempore del partito, Marcello Caruso, che però non ha mai provveduto ad ascoltarli in passato, nemmeno sulla scelta degli assessori. E le concessioni fatte all’opposizione, l’unico modo per chiudere i lavori prima di Natale, hanno comportato l’isolamento dei forzisti e delle loro prerogative. Fra i delusi anche Cateno De Luca, che qualche giorno fa era a un passo dall’ingresso in maggioranza, e oggi continua a chiedere l’azzeramento della giunta dopo aver assistito all’azzeramento delle sue proposte:” Abbiamo elaborato cento proposte ma ne abbiamo salvate solo tre. Alcune norme importanti approvate in commissione Bilancio sono state falcidiate in Aula”.
Ma a sancire una volta di più il clima d’odio all’interno del centrodestra è il messaggio di Galvagno, il presidente dell’Ars imputato per corruzione e peculato. Nella notte dei lunghi coltelli ha inviato un Whatsapp di fuoco ai colleghi, sapendo bene che sarebbe stato ripreso dalla stampa: “E’ chiaro che dopo questa finanziaria, qualora non volessimo andare a casa prima, chiederò un serio confronto perché io non sono più disposto a perdere del tempo per fare incassare gli altri e per di più ricevere l’odio gratuito di alcuni colleghi”. “Io sono certamente filo governativo ma rimango un parlamentare – prosegue – E’ ormai evidente che molti problemi nascono da una mancanza di fiducia all’interno della stessa maggioranza e probabilmente in molti hanno anche ragione”.
Ventiquattr’ore dopo Galvagno ha raddrizzato il tiro: “Ci apprestiamo a votare la terza Finanziaria senza esercizio provvisorio, un dato storico. Il merito va a tutte le forze politiche che fanno parte di questo Parlamento”. Ma non basta per rimarginare la ferita. L’unica cosa che fa andare avanti il centrodestra, come risaputo, è proprio l’atteggiamento delle opposizioni: che prima presentano la mozione di sfiducia a Schifani sapendo bene di compattare gli avversari, poi inciuciano con Galvagno e FdI per stralciare dalla manovra le norme “in esubero”, consentendo di chiudere una Legge di Stabilità sulla quale, comunque, si esprimeranno in modo contrario. La messinscena di Natale anche quest’anno è servita. La prossima sarà il rimpasto.


