Habemus Bilancio. Il lunghissimo iter avviato il 28 dicembre dell’anno scorso, con l’approvazione in giunta dell’esercizio provvisorio, è terminato sabato sera, poco prima del rientro a casa per le feste, con il “via libera” di Sala d’Ercole – in mezzo alle polemiche – al rendiconto parificato e all’assestamento tecnico. Tecnico e basta, dal momento che il presidente dell’Ars Gianfranco Micciché, d’accordo col governo, ha ritenuto inammissibili tutti gli emendamenti (circa una ventina) che prevedevano spesa (ad eccezione della proroga, per un anno, dei contratti di lavoro degli Asu). Spesa per far fronte al bisogno, sia chiaro. Ma non era quello lo strumento finanziario in cui imporre correzioni rispetto alla manovra “sballata” approvata dai deputati lo scorso febbraio, e successivi “collegati”. Da questo assestamento sono rimaste fuori tante voci che ormai da mesi vedono congelate le somme a disposizione: i teatri, le associazioni antiracket e l’universo dei precari, per citarne alcune.

Se ne riparlerà con la nuova manovra, che Musumeci ha promesso trasmettere all’Assemblea entro gennaio. Prima bisognerà superare una fase di “gestione provvisoria”, in cui la Regione non potrà spendere un euro in più rispetto alle somme già vincolate per legge, e mettere mano all’esercizio provvisorio: durerà un paio di mesi e, secondo le direttive del governatore, dovrà garantire il “pagamento di tutti gli stipendi e la applicazione di apposite formule per il recupero di eventuali mensilità di stipendi pregressi”. Infine bisognerà correre – tanto – per dotare la Sicilia della Legge di Stabilità, facendo fronte ai desiderata di onorevoli e assessori (è già iniziata la disputa). Senza il Bilancio di previsione non si canta messa.

Ma nonostante tutto ciò, la Sicilia per il momento è salva. Ha evitato il default. E c’è riuscita grazie al “commissariamento” di Roma, che ha garantito la spalmatura in dieci del maxi disavanzo con lo Stato – di oltre due miliardi – in cambio di alcuni correttivi: a cominciare da un pacchetto di riforme che andrà concordato col governo centrale e presentato a Roma entro i 90 giorni dalla sottoscrizione dell’accordo del 23 dicembre scorso. Se la Regione non dovesse ottemperare in tempo alle richieste del Consiglio dei Ministri, il disavanzo non verrà più spalmato in dieci anni ma in tre. E il rischio default, con tagli annessi e connessi, si paleserebbe in un baleno.

Il provvedimento – tecnicamente si chiamano “Norme di attuazione dello Statuto speciale della Regione siciliana in materia di armonizzazione dei sistemi contabili, dei conti giudiziali e dei controlli” – è stato pubblicato sabato scorso in Gazzetta Ufficiale. Un atto che da un lato raccoglie la soddisfazione di Nello Musumeci, dall’altro la sgasata di Gaetano Armao: “Nessun “salva Sicilia” – si è pavoneggiato il vicegovernatore sui social -, è la Sicilia che ha fatto la proposta e raggiunto l’intesa, e lo farà ancor di più nella chiusura del negoziato finanziario col Governo Conte che non può più essere ritardato”. Secondo l’assessore all’Economia, in pratica, è la Regione a dettare i tempi: “Pur di fronte ad una situazione finanziaria difficile andiamo avanti – ha proseguito Armao in un altro post -. Ma alla Sicilia non si può chiedere di più, basta alla degradazione dei diritti sociali. Abbiamo già dato. Il governo nazionale deve chiudere il negoziato finanziario entro febbraio”. Infine, in un colloquio con il quotidiano “La Sicilia”, il vice-Musumeci si è spinto oltre, spiegando che “non accetteremo supinamente cure da cavallo, prima rivendichiamo i nostri diritti: lo Stato ci dia tutte le risorse che deve darci”.

Pare la strenua difesa di chi si era messo alla guida del popolo degli Indignati, e solo adesso se n’è ricordato. L’uscita di Armao ha mandato su tutte le furie gli ambienti romani, a partire dal Ministro Boccia e dal sottosegretario Fraccaro, che hanno lavorato alacremente per non fare sprofondare la Sicilia. L’assessore all’Economia, dopo aver esultato al raggiungimento dell’intesa, recita la parte del paziente capriccioso di fronte alla cura dimagrante che il Consiglio dei Ministri imporrà alla Regione (per cominciare: riduzione della spesa corrente del 3%, sforbiciate su partecipate, affitti e burocrazia). L’accordo prodotto a Roma, se da un lato “sospende” una stagione di tagli (in linea teorica), non liquida un euro di spesa aggiuntiva. La Sicilia dovrà fare e disfare con quel poco che le è rimasto in cassa. Un altro aspetto da non trascurare è che oltre a ripianare un disavanzo da amministrazione conseguente all’eliminazione di svariati miliardi di crediti, nessuna istituzione nazionale o regionale ha fatto chiarezza sui creditori oggetto dei residui: a quanto ammonta la parte in capo a soggetti o debitori pubblici e ai privati? Le “misure in favore della Regione”, che assecondano le richieste della Corte dei Conti, non fanno altro che sottrarre risorse ai siciliani. Per questo Natale e per i prossimi dieci a venire.

Tanto che in Assemblea, all’ultimo appuntamento dell’anno, attorno all’assessore all’Economia si è scatenato un nuovo polverone. A innescarlo ci ha pensato il Movimento Cinque Stelle: “Dopo due anni di governo di centrodestra in Sicilia, le riforme tanto professate non hanno visto alcuna luce – ha detto in aula il deputato grillino Nuccio Di Paola – I siciliani hanno visto solo tagli! Tagli ai servizi, ai trasporti, ai teatri, ai consorzi di bonifica, alle categorie svantaggiate e chi più ne ha più ne metta. Come se tagliare fosse l’unica soluzione al disastro economico in cui versa questa Regione. Poi però quando c’è da aggredire gli sprechi, come ad esempio i vitalizi, i tagli diventano quasi inconsistenti. Ma di chi è la responsabilità di questa situazione? Sicuramente è una responsabilità allargata, che riguarda diversi attori. Ma oggi questa responsabilità ha un nome e un cognome: Gaetano Armao, assessore al bilancio del governo Musumeci. Per questo ne ho chiesto le immediate dimissioni. Non è più tollerabile che a pagare siano sempre e solo i siciliani”.

L’onorevole Sunseri si è scagliato contro la gestione delle partecipate regionali, che si sono dimostrate “geneticamente prive di sostenibilità economica”, mentre la ragusana Stefania Campo ha puntato il dito contro le spese di Musumeci per Ambelia e i tagli su tutto il resto: “Musumeci destina 5 milioni di euro ai cavalli (fiere e manifestazioni), però poi toglie 923 mila ai consorzi di bonifica, 650 mila euro alla prevenzione incendi, 321 mila euro alle associazioni antiracket, 69 mila alle vittime di mafia, 2 milioni di euro ai comuni in difficoltà, 290 mila euro ai consorzi universitari, 50 mila euro alla tutela dell’ambiente, 133 mila euro agli uffici del demanio marittimo, e così via per un totale di 5 milioni di risorse indispensabili. Ditemi voi se vi sembra un modo virtuoso di gestire una regione”. “Oggi stiamo discutendo per l’ennesima volta di un bilancio lacrime e sangue che continua a pesare come un macigno sulla testa della Sicilia e dei siciliani – ha affondato il neo vicepresidente del parlamento siciliano, Angela Foti -.  Nonostante gli infiniti slogan e proclami di chi, in passato, si è vantato di aver risanato i conti di questa regione e che oggi siede serenamente tra gli scranni di questo Parlamento. È inaccettabile che a pagare siano sempre i cittadini. È inaccettabile che nessuno si prenda mai la responsabilità del disastro economico in cui versa oggi la Sicilia”.

Tutti si proclamano innocenti o, persino, meritevoli – compreso Armao, che ha la memoria corta e non ricorda di essere stato assessore all’Economia, con Lombardo, negli anni dei bilanci “tarocchi” – e nessuno responsabile. Dietro l’arroganza di pochi, si cela il malessere di tanti. Ma questo non ha ancora portato a un cambio di rotta. I continui riferimenti al passato, allo scaricabarile delle responsabilità, hanno fatto alzare i toni anche al Pd: “Abbiamo votato contro un assestamento di Bilancio che ha messo in evidenza tutti i gravi errori contabili, finanziari ed amministrativi del governo Musumeci – hanno spiegato dal gruppo parlamentare “dem” – Si continua ad andare avanti a tentoni, senza una strategia né un indirizzo politico. Se non fosse stato per il senso di responsabilità del governo nazionale, che pochi giorni fa ha permesso la spalmatura del disavanzo, oggi avremmo una Regione ad un passo dal fallimento”. Il fallimento resta sullo sfondo di un’annata disastrosa. La Sicilia l’ha sfangata, Armao pure. Per il momento.