“Ero in Sicilia a fare campagna elettorale questa estate, in un autogrill, e ho conosciuto un signore che è venuto da me, si è voluto fare una foto e mi ha detto: ‘sono del Movimento 5 Stelle, guarda il braccialetto’, mi ha fatto vedere il telefonino. Postava tutti i nostri interventi in Aula. E gli ho detto: ‘Bene, allora voterai 5 Stelle. Ce la possiamo fare’. Lui mi ha detto: ‘Io sono del Movimento 5 Stelle, ma non posso votare Movimento 5 Stelle. Devo votare Genovese altrimenti perdo il posto di lavoro’”. E’ questo uno stralcio del racconto reso da Alessandra Di Battista a Barbara D’Urso il 21 gennaio 2018, durante una puntata di Domenica Live. Ed è questo uno dei due episodi che ha convinto Luigi Genovese, poi eletto all’Ars, a sporgere querela per diffamazione contro l’ex parlamentare dei Cinque Stelle. Secondo la gip di Messina, che ha respinto la richiesta d’archiviazione della procura, le parole di Di Battista non sono coperte dall’immunità parlamentare perché non ‘è un legame tra queste frasi e l’attività da deputato. “E’ di tutta evidenza- spiega nel dispositivo riportato la Live Sicilia – l’oggettiva idoneità delle affermazione in parola a ledere l’onore e la reputazione del querelante, lasciando intendere che quest’ultimo abbia ottenuto il proprio consenso elettorale sulla scorta di minacce perpetrate ai danni degli elettori al fine di indurli a votare a proprio favore”. La Procura ha dieci giorni per formulare l’accusa contro Di Battista.