Solo tredici regioni italiane rispettano gli standard per i Livelli essenziali di assistenza (Lea). La Sicilia no. Anzi, peggiora: nel 2023 ha perso altri undici punti rispetto all’anno precedente, piazzandosi penultima in Italia con un punteggio di 173 su 300. Inadempiente ieri, inadempiente oggi.

Secondo l’analisi della Fondazione Gimbe, la valutazione avviene attraverso 26 indicatori del Nuovo Sistema di Garanzia, che misurano tre aree: prevenzione collettiva e sanità pubblica, assistenza distrettuale e ospedaliera. La Sicilia è ventunesima per la prevenzione e diciannovesima per l’assistenza territoriale. Va un po’ meglio in ospedale (tredicesima), ma basta guardare le cronache dei pronto soccorso per capire che il dato statistico ha poco a che vedere con la realtà.

E mentre altre regioni del Sud, come Calabria (+41) e Sardegna (+26), mostrano segnali di ripresa, l’Isola affonda. Non si tratta solo di numeri: sono diritti negati. Significa cittadini costretti a pagare ticket e tasse senza ricevere in cambio ciò che altrove è normale. Il presidente di Gimbe, Nino Cartabellotta, ha parlato di un “campanello d’allarme che non può essere ignorato”. Ma qui da noi nessuno lo ascolta. La sanità siciliana non solo arranca: arretra. E continua a certificare, anno dopo anno, il fallimento della Regione.