Perché è giusto separare le carriere di pubblici ministeri e giudici? Perché la riforma della giustizia, su cui gli italiani saranno chiamati a esprimersi con il referendum, è considerata da una parte del mondo politico e professionale una necessità non più rinviabile per garantire processi equi, giudici realmente terzi e un sistema finalmente sottratto a ogni ambiguità funzionale? Sono le domande da cui muove l’iniziativa organizzata dal comitato “Cittadini per il SÌ”, che sabato 13 dicembre farà tappa a Palermo, all’Astoria Palace Hotel, per una mattinata di confronto pubblico su uno dei temi più divisivi dell’attuale stagione politica.

All’appuntamento interverranno il vicepresidente della Camera Giorgio Mulè e il deputato Tommaso Calderone, entrambi esponenti di Forza Italia e membri di primo piano del fronte favorevole alla riforma (il primo, Mulè, è stato nominato responsabile della campagna dal segretario forzista Antonio Tajani); Francesco Greco, presidente del Consiglio nazionale forense; Sebastiano Neri, già presidente della Corte d’Appello di Messina; Francesca Scopelliti, compagna di Enzo Tortora e presidente del comitato “Cittadini per il SÌ”; e Bartolomeo Romano, vicepresidente dello stesso comitato. È attesa anche la presenza del presidente della Regione siciliana, Renato Schifani.

Il cuore del dibattito ruoterà attorno al nodo più sensibile: la separazione delle carriere tra magistratura requirente e magistratura giudicante. Per i promotori del SÌ, questa riforma rappresenta il presupposto per rafforzare – non per indebolire – l’azione della giustizia. L’obiettivo dichiarato è garantire al cittadino un giudice realmente terzo rispetto alle parti, libero da possibili condizionamenti legati alla comune appartenenza ordinamentale tra chi accusa e chi giudica. “Una scelta di civiltà”, sostengono gli organizzatori, convinti che la modernizzazione del sistema giudiziario non possa più eludere ciò che in molti ordinamenti occidentali costituisce una normalità istituzionale.