La lealtà a Schifani ha un prezzo da pagare: l’abolizione del voto segreto. Ma non è affatto scontato che la maggioranza dei lunghi coltelli riesca a ritrovarsi su una norma che vieterebbe a ognuno dei 70 parlamentari, specie i 40 della maggioranza, di esprimersi secondo coscienza; di sgambettare o congiurare all’occorrenza; di mandare sotto il governo, massacrandolo, fino all’ottenimento di uno strapuntino. Cui prodest?
È questo il motivo per cui il governatore, dopo aver espresso il concetto durante l’ultimo vertice di coalizione, ed essersi dichiarato soddisfatto per la coesione delle truppe, manda avanti i sovrastanti. È terrorizzato dall’idea di non avere più la maggioranza; non si fida dei patrioti di Fratelli d’Italia, che oggi denigrano i “franchi tiratori” dopo averne ampliato le fila nel corso dell’ultimo giovedì nero all’Ars; non si fida dei lombardiani che gli avevano dimostrato, più o meno pubblicamente, da che parte tirasse il vento. E neppure Forza Italia, che spinge per rimpiazzare gli assessori tecnici, gli offre garanzie.
Schifani non si è mai fidato di nessuno (o quasi), figurarsi adesso. Qualcuno, pertanto, va avanti al suo posto. Carmelo Pace, capogruppo della Democrazia Cristiana all’Ars, espressione del “lealissimo” Totò Cuffaro, ha dato l’ultimatum alla coalizione di governo: “Prima dell’approdo in Aula della prossima finanziaria – ha scritto in una nota – è opportuno, per gli equilibri della maggioranza, che Sala d’Ercole si pronunci a favore dell’abolizione del voto segreto”. “Un simile pronunciamento – prosegue – non solo restituirebbe l’immagine di un centrodestra unito, coeso e compatto, ma consentirebbe di approvare manovre e provvedimenti in modo più snello, senza quegli scivoloni che, troppo spesso, ne hanno compromesso l’esito sulla pelle dei siciliani”. Infine, “consentirebbe alla coalizione di centrodestra di sostenere lealmente il governo”.
Senza lealtà non si canta messa: è il messaggio dei cuffariani. Lo stesso Totò, all’indomani degli sgambetti che avevano provocato la bocciatura di 17 norme della manovra-quater, aveva parlato di “grettezza politica e sociale”. E in tanti, anche i congiurati di lusso, gli avevano fatto il verso. “Va abolito”, è stata la richiesta di Sbardella, commissario di FdI. Ma come? Proprio i patrioti, che assieme a Forza Italia – il partito del governatore, badate bene – avevano contribuito ad affossare le prime norme dell’articolato? La stessa compagine rimasta in Aula per volere di Galvagno, sempre più convinto di poter contare su una maggioranza parallela in grado di guidare i processi e le decisioni? Esatto, proprio loro.
Ma la linea di confine tra bluff e minaccia è sempre più labile, talvolta impossibile da distinguere. Per questo Schifani preferisce rimanere coperto. Il tempo, però, gioca a sfavore. Se si vuole evitare l’esercizio provvisorio, bisognerà portare in Aula la Finanziaria entro fine dicembre. Ma senza l’abolizione del voto segreto – conditio sine qua non della Dc – anche questa legge potrebbe essere minata da capitomboli clamorosi. E quindi, che fare? Come rinsaldare le fila di una maggioranza numerica che nella realtà ha smesso di esister da tempo? Coi sovrastanti.
Uno si batte sul voto segreto (anche se la sua abolizione potrebbe passare proprio dall’utilizzo del voto segreto, sai che sfregio…), l’altro – Sammartino – si misura sulla sanità. Il leghista, da poco riammesso in giunta, più fedele a Schifani che a Salvini, si è espresso sull’osservazione (mite) di Luca Zaia relativa alla mobilità sanitaria. E a quell’esempio – definito “immorale” – di due cittadini gelesi costretti a trasferirsi in Veneto per combattere un linfoma. Ecco la difesa d’ufficio, riportata da Repubblica: “Zaia? Ha posto l’accento, in maniera a tratti scomposta, su un tema reale ma complesso, che riguarda da decenni tutte le Regioni del Sud – ha detto Sammartino -. Al caro amico governatore vorrei ricordare che molti dei professionisti sanitari che operano in Veneto sono siciliani”. Già, sono andati via anche loro. I pazienti scappano perché i medici non ci sono. Non si capisce quale sia il merito del governo siciliano in questo.
“Neanche super Zaia – ha ribadito il vicepresidente della Regione – riuscirebbe a risolvere un problema trentennale in tre anni”, mentre Schifani “ha affrontato con decisione questa sfida stanziando decine di milioni di euro per potenziare l’offerta sanitaria, con una sinergia tra pubblico e privato, e ridurre le liste d’attesa, con risultati già tangibili”. Secondo Sammartino siamo sulla buona strada, ma adesso il punto è politico. È la sua parola contro quella di Zaia, mentre Schifani si trincera dietro un no comment che la dice lunga e che accompagna le sue giornate in bilico tra santi e falsi dèi (per usare una nota citazione).
Il governatore ha le armi spuntate. Gli sono rimasti accanto due amici incrollabili che provano a stanare i rivali interni e a restituire il senso di una realtà che sfugge a ogni controllo. In questi tre anni i franchi tiratori si sono moltiplicati, così come le norme affossate (comprese quelle di buon senso). Persino Forza Italia è un campo minato, che risponde a logiche tutte sue. “C’è da chiedersi, con queste premesse e in queste condizioni, se abbia ancora senso proseguire, come se nulla fosse, la legislatura – fa notare ancora Pace –. L’esito sull’abolizione del voto segreto ci dirà se quelli sull’unità della coalizione sono solo proclami oppure, come è auspicabile attendersi, si tratta di uno stato di fatto che trova riscontro in Parlamento e, di conseguenza, nella realtà”. C’è realtà, e lealtà.