Sette anni, professione puparo. Sì, professione puparo. Perché il sogno nel cassetto di questo bambino è un sogno particolarissimo, un sogno che difficilmente appartiene a chi è così piccolo. Eppure Antonio Tancredi Cadili in quel mondo fatto di pupi ha trovato la sua dimensione, l’entusiasmo che dà vita a tutto. Un corpo di legno, vesti pregiate, armi finemente cesellate e un carattere, ciascuno ben definito da opere che nei secoli ne hanno narrato le gesta. “I pupi sono come i miei fratelli”. I suoi pomeriggi scorrono tra la bottega dei maestri Argento, i più antichi pupari palermitani, e la sua stanzetta, affollata da una collezione di paladini sovrastata da un tetto affrescato con le loro gesta. L’incoronazione di questo bambino come prodigio, però, arriva con lo spettacolo di Piparo. Tutti lo applaudono, tutti lo acclamano, lo apprezzano per quella sua impressionante presenza scenica, per quel ditino che alza al cielo raccontando il trionfo di Rosalia proprio nel palazzo in cui la santa visse. Una rivelazione, una scoperta.

Straordinaria semplicità che corrisponde a straordinaria passione, determinazione, cultura. Perché sembrerà strano, ma questo piccolo prodigio conosce a menadito la storia dei paladini di Carlo Magno, ama Astolfo semplicemente perché protagonista delle avventure più belle, per via della sua armatura dal piumaggio giallo, perché ha portato il senno a Orlando sulla luna. Manovra pupi siciliani creando personaggi e storie, prendendo in prestito la voce dei pupari, raccontando non solo di eroi, ma di tutto quell’universo fatto di emozioni umane che intorno ruotano. Coraggio, fedeltà, amore, amicizia, follia, gelosia. S’inventa la storia di Guglielmo, un piccolo soldatino saraceno che nella Chanson de Roland neppure esiste. Nella narrazione, dopo una battaglia contro Rinaldo, a Parigi, in punto di morte chiede di essere battezzato al cristianesimo.

Ha le idee chiarissime anche se gli chiedi cosa vuole fare da grande. “L’ingegnere informatico”. E perché?. “Perché voglio fare divertire i bambini con i pupi”. Il piccolo Antonio sa perfettamente che quel mondo che lui ama, che lo travolge e lo incanta tanto da raccontarlo con la naturalezza di un bambino ma con la surreale preparazione di un adulto navigato, non appassiona qualsiasi suo coetaneo. E allora trova la soluzione: creare il primo videogioco sui pupi siciliani per bambini. “È una tradizione che io vorrei portare avanti, perché siamo rimasti in pochi pupari”, dice testuale. Dopo i Cuticchio, gli Argento, ma anche Bumbello, Mancuso, Puglisi, Sortino, i fratelli Napoli, l’enfant prodige Cadili fa sorridere per la sua affermazione, ma neppure più di tanto. Perché, nonostante i suoi 7 anni appena, è erede indiscusso di una tradizione che l’Unesco sottoscrive come patrimonio orale e immateriale dell’umanità.

Nessun corso di recitazione dietro a tutto questo. Solo talento, inclinazione, amore. “Ho imparato a recitare sentendo gli spettacoli – racconta -. Quando ho iniziato ad avere i miei primi pupi ho imparato pure a manovrarli. Ho imparato sentendo i pupari recitare, un po’ come i cantastorie che quando si ammalavano venivano sostituiti dalle persone. Non ho mai contato i miei pupi, saranno una quarantina. Alcuni sono di Argento, altri di Bumbello. Quelli più belli non li uso particolarmente. Come il pupo di Piero Scalisi, a cui tengo molto, con tutte le sue imperfezioni. E il mio primissimo pupo è stato un pupo nudo. Dovevo imparare a conoscerne la struttura, dato che negli anni – da quando aveva appena 3 anni – sono riuscito ad imparare queste storie. Ho pure i pupi di farsa, come Nofrio e il Virticchio, anche se il mio preferito resta Astolfo”.

E proprio Astolfo è uno dei protagonisti dello straordinario soffitto che ha fatto realizzare, sotto dettatura artistica, ad un famoso restauratore, Franco Fazzio, colui che ha decorato pure tutti i soffitti della casa in cui vive la quale, al suo interno, ospita la straordinaria Camera delle Meraviglie, famosa in tutto il mondo. “Gli ho detto io cosa avrei voluto realizzasse. Nel riquadro centrale infatti c’è un momento della battaglia dei tre contro tre. Orlando è solo perché Agramante, dopo aver ucciso Brandimarte, mette in fuga Oliviero. Sarà proprio Orlando a uccidere Agramante, nonostante Sobrino provi a salvarlo”. Tutto intorno poi dei riquadri con le scene più importanti. C’è la morte di Roncisvalle, il matrimonio di Carlo Magno e Ildegarda, la pazzia di Orlando per Angelica, c’è anche il duello tra Agricante, re della Tartaria e il primo paladino di Francia.

“Il soffitto è corredato dalle raffigurazioni dei pupi più importanti. Re Carlo Magno, Angelica, Orlando e il secondo paladino di Francia Rinaldo. Ci sono Brandimarte e Astolfo, ma anche i saraceni più famosi, come Agramante, Ruggiero, Rodomonte, Salatiello e Ferrau, che in realtà ha la faccia di Fazzio”. Un omaggio, una dedica, che è proprio il piccolo di casa Cadili a volere fortemente per quel restauratore che è riuscito a trasformare la sua idea in un’opera d’arte. Arte allo stato puro, visto che Antonio Tancredi ha chiesto anche che venisse raffigurato il Genio del Marabitti che c’è a Villa Giulia. “Questa è una meraviglia – dice come se stesse commentando un quadro di fronte ad un circolo d’intellettuali attempati – . All’inaugurazione è venuto Pietro Grasso, quando era ancora presidente. Rimase senza parole”.

E come ogni piccolo enfant prodige che si rispetti, il teatro è solo una delle arti che abbraccia con superba semplicità. È lo scorso anno quando il celebre pianista Ezio Bosso va in visita alla Camera delle Meraviglie. La breccia, la scoperta, il desiderio di imparare a suonare quello strumento da cui si lascia travolgere ad occhi chiusi mentre lo suona. “Il 2 settembre suonerò sul sagrato della Cattedrale una melodia che ho dedicato al generale Dalla Chiesa in occasione dell’anniversario della sua morte”. Una musica struggente e coinvolgente al tempo stesso che Antonio non ha mai trascritto su uno spartito, non sapendo ancora scrivere le note musicali, sebbene sia composta nella sua mente, una mente talmente brillante che è capace di custodirla a memoria e liberarla sui tasti di quel pianoforte che suona da appena 7 mesi.

Cunto, pianoforte e quell’amore per il teatro gli assicurano un debutto nello spettacolo di Piparo di cui custodisce gelosamente la locandina, la sua prima locandina. “La gente legge Antonio Cadili e pensa ‘ma chi è questo Antonio Cadili?’”. In R patrona, andato in scena nel cortile Maqueda di Palazzo Reale, in replica il prossimo 4 settembre, è un professorino che ha come classe il pubblico. “L’emozione più grande è essermi esibito con attori di questo tipo. Con gli Argento che sono i miei maestri, con Piparo che è stato una grande mano d’aiuto. E poi straordinaria Clara Congera, e Costanza Licata, Alessandra Salerno, Egle Mazzamuto. Tutti indistintamente. Spero che questo spettacolo sia solo il primo”.

Di cassetti per i sogni, però, ne usa un po’ di più perché tutti in uno stanno stretti. E così “spero di incontrare il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, appassionato di pupi, e di potergli recitare il cunto”. Come quello che ha recitato casualmente al grande regista Peppuccio Tornatore in occasione della sfilata di Dolce & Gabbana. “Mi ha detto ‘ma tu hai 7 anni o 23?’”. 7, caro Tornatore, ne ha 7 e non sembrerebbe dato che un suo caro e nuovo amico ne ha 93 suonati e si chiama Andrea Camilleri, senza bisogno di alcuna presentazione. Allo scrittore, Antonio ha scritto una lettera con quella calligrafia senza orpelli tipica di un bimbo che frequenta la seconda elementare. “Ho letto Topiopì e mi sono commosso”, gli dice. “Sono contento che ti sia piaciuto Topiopì, è uno dei ricordi più cari che conservo”, risponde davvero il papà di Montalbano.

Un sogno? No, soltanto strabiliante determinazione che, in un ometto di appena un metro e una manciata di centimetri, colpisce eccome. Ama i Beatles, i Queen, l’Inter, la matematica e dunque i pupi e il teatro. “Caro maestro, ho realizzato il sogno della mia carriera: lavorare con te che sei tutte le espressioni che ho perso crescendo” è la dedica di Salvo Piparo alla fine dello spettacolo. Una dedica che riempie il cuore di papà Giuseppe, di mamma Valeria e di tutti quelli che almeno una volta nella vita hanno incontrato questo bambino meraviglioso, questo piccolo surrogato di fenomeno che tra qualche anno affollerà gli elzeviri dei giornali. Parola di cronista. E scusate se è poco.