È stato fra i primi ad abbracciarlo dopo le comunicazioni dell’altro ieri all’Ars, ma l’indagine per corruzione che si è abbattuta su Galvagno spalanca a Renato Schifani le porte del bis a Palazzo d’Orleans. Un avversario in meno. Per il governatore sono giorni d’oro. L’inchiesta della Procura di Palermo sbarra la strada della presidenza all’enfant prodige di Fratelli d’Italia, che la Russa – suo profondo estimatore nonché burattinaio di tutte le vicende sicule più importanti – avrebbe potuto trainare fino alla candidatura. Non avverrà, perché Galvagno è un presidente (dell’Assemblea) azzoppato e la coalizione non potrà correre il rischio di presentarlo all’opinione pubblica con queste accuse di tradimento alla morale e all’etica.

Al netto delle motivazioni addotte in aula, su Galvagno pendono le mille “utilità” concesse ai suoi collaboratori, quelli del cerchio magico, in cambio di contributi e finanziamenti del Parlamento (attraverso provvedimenti legislativi) nei confronti di imprenditori tanto magnanimi quanto cinici. Persino la presunzione d’innocenza fa a pugni con la spacconeria della classe dirigente di FdI, che in quasi tutte le sue articolazioni pretende di gestire potere, incarichi, consulenze e piccioli in stile Auteri o De Capitani. Schifani avrebbe potuto (e forse dovuto) limitare l’accesso dei patrioti a cultura e turismo. Non poteva, ma ha lasciato che si logorassero da soli per ricavarne il massimo profitto di carriera: la ricandidatura, al momento, non è in discussione.

Ci sono altre vicende che gli sorridono. A partire da quelle che investono lo scalo “Falcone-Borsellino” di Palermo, dove Schifani ha avuto – e rivendica – una particolare influenza pur non possedendo una sola azione di Gesap. Eppure la sua presenza sarà forte nel Consiglio d’Amministrazione: sarà del presidente, infatti, la scelta del quinto membro del Cda al posto dell’uscente Vito Riggio. Il nome è quello di Gianfranco Battisti, manager di lungo corso e alto profilo, che a Schifani sarebbe stato suggerito (come racconta l’edizione palermitana di Repubblica) da Dario Lo Bosco, ex presidente di Rfi e attuale Ad di Italferr. Battisti, attualmente alla Luiss Business School, andrebbe a ricoprire l’incarico di Amministratore delegato. Ma Gesap dovrà nominare a stretto giro anche il nuovo Direttore generale: della rosa dei papabili fa parte anche Carmelo Scelta, l’ex Dg, sostenuto proprio dal presidente della Regione.

Toccherà a lui, eventualmente, guidare l’iter (già avviato da Lagalla) di privatizzazione dello scalo. Ripetiamo: Schifani non possiede una sola azione di Gesap. Eppure, il sindaco di Palermo gli ha spalancato le porte dopo gli screzi del passato. Insieme hanno incontrato Battisti e condiviso che sia lui il profilo giusto per rimpiazzare Riggio (prima voluto e poi scaricato dopo le critiche sull’abbattimento dell’addizionale comunale per gli aeroporti minori). Domani è in programma l’Assemblea dei soci che potrebbe sbloccare tutto.

Il governatore ha un peso anche nelle vicende che riguardano l’altro aeroporto maggiore dell’Isola: Fontanarossa. Negli ultimi giorni, in attesa che si delineassero gli equilibri fra i partiti della maggioranza, Schifani ha scelto una linea attendista, anche se a breve – al “Vincenzo Bellini” – sono previste novità sulla governance di Sac (la spartizione, però, prevede tre incarichi per FdI, uno a testa per Forza Italia e Grande Sicilia). A capo c’è attualmente un suo fedelissimo, Nico Torrisi. Mentre il reggente dell’intera operazione è il commissario della Camera di Commercio del Sud-Est (che possiede circa il 60% del pacchetto azionario di Sac), Antonino Belcuore. Cui Schifani, qualche mese fa, aveva chiesto di mantenere gli attuali assetti fino all’approvazione del bilancio.

Nel frattempo la politica si è portata avanti, nonostante qualche battibecco nel Siracusano. Ad ogni modo anche Catania è coinvolta da un processo di privatizzazione in corso e di certo più avanzato che a Palermo. I futuri asset sono fondamentali per la Sicilia: per questo gli attuali riposizionamenti politici rappresentano una leva di potere irrinunciabile per chi ha intenzione di muovere i fili alla Regione. Chi meglio del presidente in carica?

Non è finita qui. Dopo i chilometri di coda sull’autostrada Palermo-Catania e l’attacco frontale lanciato da Schifani contro Anas, il presidente – nonché commissario – è riuscito a ottenere un doppio risultato: la rimozione del responsabile regionale dell’azienda e la nomina di due nuovi subcommissari per la gestione del piano di manutenzione dell’A19. Uno è Nicola Montesano, appena promosso a capo della struttura Anas in Sicilia. L’altra è Simona Vicari, già sottosegretaria, oggi consulente personale del governatore per energia e trasporti, e presenza stabile nel suo cerchio magico. Un’operazione chirurgica, avvenuta senza colpo ferire. Il provvedimento scatterà dal 15 luglio, appena Montesano prenderà servizio. E stavolta, dopo il passo indietro dei precedenti subcommissari travolti dal caos di inizio giugno, Schifani ha piazzato due nomi di fiducia, blindando la regia dell’intervento.

Una spina di cui Schifani vorrebbe liberarsi in fretta, invece, è quella che riguarda la nomina del nuovo presidente dell’Autorità Portuale del Mare di Sicilia Occidentale, che comprende i porti di Palermo, Trapani e Termini Imerese. Il Ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini avrebbe indicato la figura dell’ex europarlamentare di Licata, già segretaria regionale leghista, Annalisa Tardino. Scatenando un putiferio. Non è stato neppure necessario che Schifani dichiarasse la propria contrarietà: ci hanno pensato tutti gli altri, a partire da Pd e Cinque Stelle. Che in questo modo gli hanno fornito un assist prezioso (come Galvagno con le sue vicende processuali).

Schifani non ha mai fatto mistero di voler puntare su un tecnico e indicare Luca Lupi, già segretario generale con Pasqualino Monti (il cui contratto scade il 12 luglio). Optando per la linea della continuità e della competenza. Ovvio che la prospettiva del governatore appaia come la più assennata, ma se alla fine dovesse andare a segno Salvini, poco male. Schifani non avrebbe sbraitato, limitandosi a osservare. E i rapporti col Ministero proseguirebbero nel solco della concordia. E, naturalmente, della comune appartenenza politica. Sono davvero giorni d’oro.