Verrebbe quasi da sospettare che la mano destra non sa cosa fa la sinistra. Ma il disegno ingegneristico di (un pezzo di) Forza Italia per farsi ridere dietro è ormai consolidato. Non c’è singola occasione all’Ars in cui i deputati rivoltosi, in maniera scientifica, non indossino i panni dei franchi tiratori e decidano di impallinare le norme del governo, proposte dagli assessori contestati (come Alessandro Dagnino, fido di Schifani, all’Economia); e non c’è ricorrenza che non utilizzino per esternare ai piani alti un po’ di veleno, per poi trincerarsi – come accaduto a Noto – dietro comunicati ufficiali che sanno di menzogna. “Siamo uniti”. Che birbanti…
Ci sarebbe da ridere, se non fosse che Forza Italia è il primo partito all’Assemblea regionale. E che tuttavia, in questo rigido schema di controllo esercitato dal governatore, non riesca a esprimere un’idea e neppure una critica. Si limita a sabotare quelle degli altri. Compresa l’iniziativa, tanto garbata quanto decisa, portata avanti da Giorgio Mulè, vicepresidente della Camera dei Deputati, per dare a questo partito ingrigito (almeno) un dialogo. Ha chiesto – come Marco Falcone qualche settimana fa – di convocare la segreteria regionale e discutere sul da farsi. Una sorta di autoanalisi. Ipotesi già abbozzata nel corso dell’incontro di Noto, rigorosamente dopo-cena, con il segretario nazionale Antonio Tajani. Eppure, anche su questo si è avuto da ridire e da smentire.
Ecco come: “È spiacevole notare come alcuni colleghi di Forza Italia sembrino non essere soddisfatti di quanto il partito ha fatto e sta facendo in Sicilia in questi mesi, mettendo addirittura in discussione la lealtà del nostro Gruppo nei confronti del Presidente Schifani (…) Lascia spiazzati e sinceramente addolorati – prosegue la nota firmata, in maniera generica, da deputati e deputate regionali – vedere come da parte di qualcuno vengano soltanto critiche gratuite e immotivate, invece di un riconoscimento e apprezzamento per coloro che questo lavoro hanno determinato, ovviamente in un contesto di squadra che coinvolge centinaia di amministratori, parlamentari e semplici attivisti e militanti. Una mancanza di apprezzamento e gratitudine sinceramente incomprensibile e inaccettabile”.
Ma cosa c’è di sbagliato o irrispettoso nel richiedere un vertice al coordinatore regionale? Quale atto di lesa maestà può celarsi dietro una proposta pubblica, se non la limpidezza di metterci la faccia evitando le classiche azioni da congiurati? Forza Italia, in Sicilia, non è più abituata al pluralismo delle idee. Allo spazio e ai percorsi da condividere. Tanto che il presidente Schifani, motu proprio, si è arrogato il diritto di scegliere gli assessori all’Economia e alla Salute, tenendo all’oscuro il partito (che rivendicava le deleghe). E pescando nella rosa dei “tecnici”. Questa decisione non è andata giù a molti dei deputati regionali, che riservatamente ispirano le ricostruzioni dei giornali e votano contro in Assemblea; pubblicamente, invece, non hanno neppure il coraggio di dissociarsi da comunicati che sanno di “pensiero unico”.
Questa è la classe politica allevata da Marcello Caruso nel corso della legislatura. A Noto, nel famoso dopo-cena di cui ha parlato Mario Barresi su ‘La Sicilia’, sono stati visti sia Falcone che Tamajo (radio Ars parla di un avvicinamento fra i due), ma anche Mancuso e Pellegrino. Quest’ultimo, capogruppo di FI e re delle smentite. Ma anche gli agrigentini Riccardo Gallo e Margherita La Rocca Ruvolo, che hanno tempestato il governo di interrogazioni sulle storture della sanità. C’erano pure Vitrano e D’Agostino, sodali di Tamajo. Alla luce del sole, però, qualsiasi tentativo chiarificatore viene soffocato dal timore di esporsi. Forse per non finire al centro dei rancori di Schifani, forse per evitare di ritrovarsi da soli in una battaglia contro i mulini a vento.
D’altronde l’ha detto anche Tajani, ingenuo sostenitore del “partito coeso”, che il prossimo presidente della Regione sarà di nuovo lui, Renato. Mettersi di traverso è un’operazione (troppo) audace per chi fatica a far valere gli attributi. Poi, fra un’intemerata di Falcone e l’altra, c’è Mulé. L’unico a dire le cose come stanno, a non cercare riparo preventivo, a non essere inghiottito nel vortice dell’unanimismo: “Sicuramente quello che manca è una collegialità, ma ho notizie che il coordinamento sarà convocato a breve – ha detto durante una trasmissione su Telecolor, con un filo di ottimismo immotivato – Il bis di Schifani? Può essere che lo stesso Schifani cambi idea. Chi guarda al 2027 fa un torto a quello che va fatto oggi: dobbiamo dare l’acqua ai siciliani, risolvere il problema dei rifiuti. Di chi si deve candidare, riparliamone nel 2027”. E mentre Mulé è finito di diritto nella “black list” dei piani alti, la sua mozione potrebbe investire giovedì la segreteria nazionale. Mentre il partito all’Ars fatica a tenere il conto delle bugie e delle imboscate, danneggiando il governo e tutti quelli che provano – faticosamente – a coprirne le tracce.