Il Teatro Biondo, terra di nessuno

L'interno del Teatro Biondo di Palermo. Che dopo l'addio a Roberto Alajmo è da mesi senza un direttore artistico

Nell’Isola del «ma comu finìu?» si continua a non mangiare e – come se non bastasse – si agitano spettri ribelli. Nella terra di nessuno che è diventato lo Stabile di Palermo, in quella landa desertificata chiamata Teatro Biondo dove le domande dei lavoratori e della città echeggiano da due mesi senza che dalle istituzioni arrivi uno straccio di risposta, anche domani non si celebrerà il «27», ovvero niente stipendi per il secondo mese consecutivo mentre si profila all’orizzonte il terzo mese di vacche magre e di famiglie in difficoltà. Tra i non pagati – oltre ai dipendenti – pure i contrattualizzati: da 40 giorni (tra prove, debutto e repliche) gli attori della compagnia che ha messo in scena «Spettri» di Ibsen, ultima produzione dello Stabile, campano con soldi propri, pagano b&b, prime colazioni, cene, mezzi pubblici: la Esdra, Venturiello & soci. E prima di questa, altre due compagnie («La tempesta» e «Chi vive giace») non hanno ricevuto un euro.

Se perfino il Consiglio d’amministrazione ha deciso – dopo aver dato solidarietà alle maestranze – di uscire la scorsa settimana con un comunicato congiunto con i lavoratori per far pressing su Regione e Comune allo scopo di ottenere anticipazioni sul 2019, più che alla frutta siamo all’amaro. Ma se è improbabile che al Comune si sciolgano cuori e casse, dalla Regione potrebbe arrivare qualcosa, grazie al bilancio già approvato, ma i tempi sarebbero comunque lunghi, non potrebbero star dietro all’attuale urgenza.

In teatro il malumore è forte e non può essere stemperato dall’applauso di solidarietà che ogni sera arriva da platea, palchi e loggione alla fine della lettura del comunicato di preoccupazione dei sindacati. Una frangia dei lavoratori vorrebbe passare all’azione di forza ma perfino gli artisti impegnati in «Spettri» hanno pensato di disertare la scena e bloccare le recite previste fino a domenica. Finora la soluzione estrema è stata evitata per rispetto del pubblico e per non mettere in ulteriore difficoltà le casse (vuote) del teatro (bisognerebbe restituire le quote degli abbonamenti e gli spicci dello sbigliettamento).

La nomina del nuovo direttore artistico? Stando così le cose, il tema non transita nemmeno per l’anticamera del Consiglio d’amministrazione. E poi, chi arriverebbe su quella poltrona gratis et amore Dei e in un teatro che sa già di non poter rispettare gli impegni economici? A tal proposito, si fa già la conta di chi, previsto prossimamente in cartellone, se la situazione non dovesse sbloccarsi, potrebbe disertare e di chi, invece, potrebbe aderire ad un appello “al vostro buon cuore”. Tra i prossimi appuntamenti, è assai incerto l’arrivo della Slava’s Company, formazione internazionale che plana dall’estero e ha già chiesto l’anticipo dei biglietti aerei (in calendario dal 20 marzo), dovrebbe dire sì per amicizia la “Elledieffe”, la società di Luca De Filippo sotto il cui marchio Gianfelice Imparato e Carolina Rosi recitano «Questi fantasmi» (dall’8 marzo) così come è salvo il debutto alla Sala Strehler di «Ifigenia in Cardiff» con la palermitana Roberta Caronia (attrice già non pagata, ironia della sorte, per la sua partecipazione in “Chi vive giace” del mese scorso) e garantito anche l’arrivo di Vetrano e Randisi con «Ombre folli» di Scaldati (dal 6 marzo sempre alla Strehler).

L’incubo denaro non può comunque nascondere che il rinvio della nomina del nuovo direttore sia anche frutto di un accordo che non è stato ancora raggiunto tra le forze in campo (Regione, Comune, Fondazione Biondo): c’è chi ritiene ancora credibile l’ipotesi Pamela Villoresi, la cui autocandidatura è stata sollecitata da un folto gruppo di lavoratori, c’è chi dà per più concreta quella di Claudio Collovà ma lì interverrebbe, come per ogni regista, il limite, stabilito dallo statuto, di poter firmare un solo spettacolo per ogni stagione. A meno che, con una modifica allo statuto stesso, non venisse sdoppiata la carica nelle figure di un direttore-manager e di un consulente artistico “a latere” come nel caso del Piccolo di Milano, ad esempio, dove accanto a Sergio Escobar, grande organizzatore, sedeva prima Luca Ronconi e ora, dopo la morte di questi, Stefano Massini. Quest’ultima soluzione potrebbe riaprire ad un’ipotesi Roberto Andò più che a quella etnea che vedrebbe in tandem Orazio Torrisi e Giuseppe Dipasquale.

Totò Rizzo :

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