È questione di giorni, di mesi al massimo, e un’altra mannaia potrebbe abbattersi sulle carceri italiane, già piene di problemi. E potrebbe portare a un allungamento delle pene per centinaia di persone che in carcere sono già recluse. Di cosa parliamo? Gli effetti del nuovo reato di rivolta carceraria, introdotto dal decreto sicurezza. Il reato era già stato molto contestato sin dalla prima stesura del provvedimento, innanzitutto perché le proteste e le rivolte in carcere sono nella stragrande maggioranza dei casi prodotte dal sovraffollamento e dalla carenza di personale, attività e spazi per i detenuti. In secondo luogo perché è un reato poco chiaro: prevede, infatti, che a essere puniti con una pena da 1 a 5 anni siano coloro che partecipano ad una rivolta non solo “mediante atti di violenza o minaccia” ma anche attraverso atti di “di resistenza all’esecuzione degli ordini impartiti per il mantenimento dell’ordine e della sicurezza”. Tradotto: c’è il rischio, molto concreto, che a finire indagato (e condannato) per il reato di rivolta carceraria ci sia anche chi compie atti di resistenza passiva. Che, ad esempio, durante delle proteste, si sdraia lungo un corridoio senza alzarsi quando gli agenti gli intimano di farlo. Ma quanto potrebbe impattare questo nuovo reato sul sistema carcerario? Moltissimo. Le stime vengono date dall’Associazione Antigone che oggi, 29 maggio, presenta il suo rapporto annuale, il ventunesimo, sulle condizioni di detenzione. Continua su Huffington Post