Renato Schifani e Raffaele Lombardo, a breve, potrebbero militare nello stesso partito. Rileggete pure. Non è un abbaglio. Un mese dopo aver minacciato di sbatterli fuori dalla giunta, con tanto di replica al vetriolo (“L’elezione diretta del presidente talvolta può portare all’illusione del potere assoluto”), il presidente della Regione potrebbe aver incassato l’appoggio incondizionato del leader Mpa per blindare – pensate un po’ – la posizione di Marcello Caruso al prossimo congresso forzista. Gli autonomisti potrebbero tesserarsi in massa. La moneta di scambio? Prevedibilmente la nomina di Luigi Genovese, già parlamentare all’Ars e figlio di Francantonio, ai vertici dell’Azienda Siciliana dei Trasporti. Le ripercussioni? Tante, o forse nessuna.

Schifani e Lombardo, dopo essere arrivati più volte a un passo dalla rottura, blindano una federazione che è già nelle cose – alle ultime Europee il Mpa votò compatto a favore di Caterina Chinnici – ma che di fronte alle bizze dell’ex governatore di Grammichele aveva cominciato a vacillare. Ma non bastano, anzi non servono più, i buoni propositi sulla sanità da rivoltare come un calzino (sia di fronte alle nomine dei manager che alla revisione della rete ospedaliera); né le divergenze sulla riforma dei Consorzi di bonifica che aveva portato gli autonomisti dritti nel partito dei franchi tiratori. Davanti a una poltrona si è azzerato tutto, anche i rancori.

Lombardo sembrava l’unico argine alla deriva di questo governo, ormai incapace di produrre una riforma e del tutto votato a un populismo clientelare. Aveva anche fondato un partito con Lagalla e Micciché, per infastidire Schifani in questa smania di potere per nulla commisurata ai traguardi raggiunti. Ma era tutto un fuoco di paglia, se i retroscena di Repubblica fossero confermati. Passerebbe in secondo piano l’ira di Schifani contro il capogruppo del Mpa, Roberto Di Mauro; verrebbe archiviata l’invidia (si parla sempre di politica) di Lombardo per questo asse fra il presidente della Regione e Totò Cuffaro.

Questi personaggi intramontabili – qualche settimana fa Polito sul Corriere usò la definizione di “cacicchi a vita” – fingono di farsi la guerra, ma al momento decisivo si supportano. Rappresentando l’uno l’ancora di salvezza dell’altro. E non c’è più spazio per le dinamiche caratteriali, per gli sgarbi personali e politici, per l’azione di governo rimasta impantanata nella questione morale e nella precarietà dei numeri. Gli intramontabili sono sempre là, a presidiare le mura di una fortezza che somiglia al quadrilatero di Radetzky. Un sistema di difesa sperimentato nell’Ottocento dall’impero austriaco, impossibile da aggirare per le truppe nemiche.

Nel caso della politica siciliana, le truppe nemiche quasi non esistono. Schifani e Lombardo sono due dei decani che sorreggono le sorti dell’Isola. Hanno entrambi 75 anni (Lombardo li compirà fra meno di due mesi), e il presidente in carica potrebbe finire il secondo mandato (cui aspira) dopo aver spento l’ottantaduesima candelina. Di recente ha partecipato a una festa organizzata da un altro padre nobile: l’ex ministro delle Comunicazioni Totò Cardinale (classe ’48). Che da Mussomeli guida le sue truppe – con in testa il fedelissimo Edy Tamajo – e al contempo, complici le doti di gran tessitore, mette toppe laddove Schifani apre voragini. Qualche giorno fa ha tolto al governatore un po’ di pressione, dovuta all’assalto della fronda interna di Forza Italia che gli rinfacciava l’assenza di dialogo. Ed è riuscito ad evitare che lo scontro con il suo assessore alle Attività produttive, ormai l’unico azzurro in giunta, potesse prendere una bruttissima piega.

Finora l’unico a mostrarsi lealmente fedele a Schifani era stato Cuffaro, l’altro convitato di pietra. Il leader della nuova Democrazia Cristiana ha vissuto almeno tre vite, eppure è il più giovane della squadra. Appena 67 anni. Oggi è impegnato a far risorgere il mito della Balena Bianca, anche se molti alleati gli sputacchiano addosso non appena Totò chiede loro ospitalità per gli eventi di cartello (com’era accaduto alle Europee, quando Tajani fece tramontare l’ipotesi di fare la lista insieme a FI). Cuffaro, però, è molto incline al perdono e poi ha un’altra dote riconosciuta: saper coltivare il consenso. La sua alleanza col golden boy Sammartino rappresenta l’altra faccia del centrodestra di governo.

Ma fra gli intramontabili, grazie alla sfarzosa tre giorni servitagli dal comune di Ragalna, è tornato prepotentemente Ignazio La Russa. Cioè il leader siciliano di Fratelli d’Italia, checché ne dica Giorgia Meloni (che sarebbe più propensa a svecchiare la classe dirigente). Il presidente del Senato, 78 anni, ha ancora un fortissimo ascendente sui rampolli patrioti: Galvagno ne segue ogni passo. Ha persino imbastito il concerto di Natale all’Ars, con la Ricciarelli, come fossimo a Palazzo Madama. Si serve dei consigli di Geronimo, il figlio, per organizzare gli eventi culturali. I due hanno condiviso amicizie importanti (ad esempio con la “califfa” Sabrina De Capitani), e coltivano sogni altrettanto ambiziosi: peccato per l’inchiesta per corruzione e peculato, che probabilmente toglierà a “Gae” il piacere di correre per Palazzo d’Orleans. Ma La Russa è anche il padrino politico di Schifani, a cui Schifani s’è rivolto per avanzare un diritto di prelazione in vista del 2027. Senza ‘Gnazio non si canta messa.

A ben vedere, Cuffaro venne eletto presidente della Regione nel 2001. Da circa venticinque anni, cioè un quarto di secolo, il clan degli intramontabili occupa le istituzioni e il dibattito politico siciliano, in un sottilissimo equilibrio fra guerra e pace. Chiunque provi a incunearsi in questo sistema di potere, viene respinto con forza. Poi vedi La Vardera battersi per le staccionate di Mondello, e vieni mosso da un sentimento di umana tenerezza. Peccato per tutti gli spiritelli che ci provano.