Dietro l’incredibile mutazione di Palazzo Butera, a Palermo, dove a gennaio aprirà una casa-museo, ci sono il sudore, la fatica e le mani preziose di un centinaio di maestranze gangitane. Fanno parte di un paio di società – la Emmecci Srl e la Gangi Impianti – che si sono costituite in un’Ati (associazione temporanea di imprese) per portare a compimento il grande sogno di Massimo Valsecchi e della moglie Francesca Frua De Angeli. Che dopo aver speso la propria vita in mostre ed esposizioni in giro per il mondo (da Milano a Londra, da Parigi a New York, passando per la Biennale di Venezia), nel dicembre 2015 hanno acquistato il palazzo dei principi di Branciforte, riconoscibile dal mare. Un investimento appassionato che ha dato il via alla profonda trasformazione dell’edificio e di quella fetta di Palermo. Presto, con l’apertura del palazzo Pirajno, lo spazio espositivo di palazzo Butera – che pur essendo un contenitore di meraviglie, non si limita a una riproduzione museale – sarà affiancato da un centro studi di grande pregio, dove saranno ripresi anche gli antichi mestieri. Un ponte con la cultura, con l’arte. Il desiderio di trasferire un’emozione ai tanti visitatori “in attesa”.

Il motore della riqualificazione di Palazzo Butera è un palermitano doc: l’ingegnere Marco Giammona, che aveva già risanato altri palazzi storici nel cuore della Kalsa. L’architetto che ha sviluppato il progetto architettonico e museografico è Giovanni Cappelletti. Ma la realizzazione del progetto è tutta gangitana, arriva dalla Madonie. E da un incontro quasi fortunoso, avvenuto nel 2013, durante l’acquisto di Gangi Vecchio da parte dei Sellerio. A Giammona venne presentato Mario Puglisi, imprenditore edile e figlio d’arte. I due si conobbero e collaborarono, a titolo gratuito, per la realizzazione di alcuni scavi. Il tempo avrebbe ripagato gli sforzi. E l’occasione si presenta nel 2015 quando Giammona, artefice e complice di un destino sublime, presenta Puglisi e Santo Lipira, l’amministratore della Emmecci, al professor Valsecchi, che da lì a un paio di mesi avrebbe concluso l’acquisto del palazzo. Un’antica residenza patrizia che aveva subito molteplici cambi di funzione e che conservava al suo interno i saloni sfarzosi di un tempo, ma giaceva per lo più dimenticato nei suoi 8 mila metri quadrati di superficie, e nelle sue terrazze poderose che si affacciano sull’ottocentesca Passeggiata delle Mura delle Cattive.

Mario Puglisi

E’ uno di quegli incontri destinati a lasciare il segno. “Notai subito che il professore era una persona particolare, di competenza e grande cultura – racconta oggi Puglisi –. Ma restai sorpreso dalla sua camicia sgualcita. Ebbi l’impressione di trovarmi di fronte a uno squattrinato”. Oggi sorride, col ghigno di chi sa di trovarsi di fronte a un’esperienza irripetibile. “Al primo appuntamento portai con me alcune maestranze: il fabbro, il falegname. Io avevo 39 anni, l’azienda era giovane, ma avevamo con noi l’esperienza dei nostri padri, e dei padri dei nostri padri. Giammona mi disse che forse avevamo sbagliato approccio. Così, la volta dopo, prima di consegnare i certificati richiesti, dissi a Valsecchi che volevo mostrargli una cosa”. Puglisi chiamò al suo fianco il falegname, di 49 anni, chiedendogli di mostrare le mani. “Gli dissi: ‘Franco, gira i manu’”. Poi mi rivolsi al professore: ‘Chisti in gangitano si chiamano caddi. Vuol dire esperienza, consapevolezza di aver lavorato duro’”. A quel punto Valsecchi lo interruppe, ridendo. “E mi disse in maniera serafica: ‘Secondo me, signor Puglisi, lei non lavora nell’impresa, ma si occupa di public relations’. Aveva ragione. ‘Ma c’è chi lavora per me’, gli risposi. Così si è innamorato di noi”.

Il cantiere di Palazzo Butera viene inaugurato pochi giorni dopo l’acquisto: è il 26 dicembre del 2015. I lavori vanno avanti per cinque anni, al netto della sospensione di 8 mesi per Manifesta, che usufruisce di un edificio work in progress. Ora è tutto pronto: i saloni lucidati, i soffitti con gli affreschi brillanti, le opere della collezione allestite. Gli arredi di August Northon Pugin, architetto e designer che progettò anche il Big Ben di Westminster. Ma anche il tavolo e due sedie del parlamento inglese, che facevano parte della collezione londinese dei Valsecchi. Un continuo trait d’union fra presente e passato, tra un Paese e l’altro. Puglisi si aggira fra le (poche) impalcature per gli ultimi ritocchi (“In un palazzo così grande non mancano mai i piccoli interventi di manutenzione”). Assieme a lui il capo cantiere, uno dei più maturi del gruppo, Tanino Alaimo. “La nostra fortuna è data delle 3G – lo precede Puglisi – cioè Gangi, i giovani e Gaetano, il nostro capo cantiere. Lo abbiamo costretto a studiare a diventare geometra. Glielo passo”.

Tanino Alaimo

Dieci anni fa, dopo aver frequentato una scuola privata, Alaimo (oggi 62enne) ha preso il diploma. “Abbiamo a che fare con un cantiere che non si vede tutti i giorni. Un treno che passa una sola volta nella vita. E io ringrazio l’impresa per avermi affidato la direzione dei lavori – spiega il buon Tanino – Abbiamo lavorato con impegno e, nonostante le difficoltà, siamo riusciti a rispettare le scadenze. Questo per noi è motivo di grande orgoglio. Stiamo parlando di un palazzo a tre piani, dove è possibile ricavarne 6 o 7. Sono molto alti… La superficie dedicata al museo è l’80% del totale. Negli altri spazi sono state ricavate delle stanze per gli inservienti e per gli studiosi che, una volta inaugurato, vorranno trasferirsi nella residenza per due o tre mesi e dedicarsi allo studio. Valsecchi glielo permetterà: lui stravede per i giovani e gli studiosi”.

Emmecci e Gangi Impianti hanno eseguito sull’edificio un restauro conservativo. Puglisi lo spiega con un altro aneddoto: “Valsecchi mi disse che il segno dei tempi va sempre mostrato. Il palazzo così è e così deve restare’. E questo atteggiamento ci è valso prima l’apprezzamento del progetto e poi la positiva collaborazione con la Sovrintendenza che è stata fondamentale per la riuscita dei restauri: e gli oltre 30 verbali di sopralluogo prodotti, sono lì a dimostrare il livello di attenzione che ci è stato riservato. La presenza costante dell’architetto Cappelletti, che da sempre si occupa di museografia, ha poi contribuito a rendere fluido l’andamento dei lavori, consentendoci di superare velocemente gli imprevisti che inevitabilmente si presentano in questo tipo di cantiere”. “Nel periodo di massima espansione – ricorda Puglisi – abbiamo raggiunto le 140 unità lavorative, di cui il 90% gangitane. Questa è una cosa a cui tengo molto. La nostra imprese è un’impresa asseverata. In Italia ce ne saranno una sessantina”. Asseverata vuol dire che risponde a degli standard certificati dai Cpt, i Comitati paritetici territoriali dell’Ance (associazione nazionale costruttori edili).

I giovani sono l’altro punto di forza: “Oggi si fa fatica a reperirne. I ragazzi preferiscono studiare, laurearsi e provare altre professioni. A noi piacerebbe farli crescere, offrire loro un’opportunità”. L’impegno in questo senso procede, è costante: “Abbiamo chiesto al professor Valsecchi di affidarci uno spazio su due livelli, al civico 20 di via Butera, l’entrata a fianco del palazzo. In questo spazio, sempre su progetto dell’arch. Cappelletti, abbiamo realizzato un bistrò di prodotti tipici madoniti, dove lavorano due ragazzi di Gangi rientrati da Milano. Queste sono soddisfazioni…”, chiosa Puglisi. E’ talmente fiero di questa sua realtà imprenditoriale, che non sta più nella pelle. Ci elenca i prossimi lavori (l’allestimento di altre strutture, cui il prestigioso Palazzo Petrulla, anch’esso affacciato sul Foro Italico di Palermo) e quelli passati; ci spiega di voler puntare sulla formazione. Trasmette l’emozione che è pari alla passione; lo stupore di fronte alle cose belle non se n’è mai andato.