E’ reduce da notti insonni. Ha trascorso gli ultimi giorni della sua vita, e della sua attività da parlamentare, a bordo della Sea Watch, con 42 migranti allo stremo delle forze. S’è preso gli applausi e gli insulti più beceri. Per Davide Faraone, senatore e segretario regionale del Partito Democratico, non è ancora tempo di rivincite: “Siamo saliti a bordo perché il governo non ha risolto la questione in tempi civili. Qualcuno si è lamentato perché saremmo arrivati troppo tardi. Altri perché non dovevamo nemmeno esserci. Hanno tutti qualcosa da ridire”. Faraone, assieme all’ex ministro delle Infrastrutture Graziano Delrio, a Matteo Orfini del Pd, a Riccardo Magi dei Radicali e Nicola Fratoianni di Sinistra Italiana ha trascorso una notte sul ponte di Sea Watch. Si è dato i turni coi colleghi perché l’equipaggio temeva che la disperazione dei migranti portasse all’autolesionismo. Ha fatto da sorvegliante, ha provato a interagire con le istituzioni, s’è fatto “rapire” dal coraggio di Carola Rackete (“E’ una ragazzina, poco più di trent’anni, e ha dovuto sopportare di tutto”), la capitana indagata per aver sfidato una nave da guerra italiana. In poche ore alla deriva gli si è aperto un mondo.

Salire su quella nave è stato un atto di sfida al governo italiano?

“Atto di sfida? Sa che quando siamo saliti noi c’erano dei minori a bordo? Uno è sceso col fratello che, nel frattempo, si era sentito male. C’erano donne e situazioni al limite sia da un punto di vista igienico che psicologico. Abbiamo aspettato che la risolvesse il governo, ma nessuno aveva alzato il telefono per parlare con gli altri Paesi e chiedere un ricollocamento”.

Sta dicendo che è stato merito vostro?

“Da quando siamo saliti sulla nave, il ministro degli Esteri Enzo Moavero – non Salvini, che non ha mosso un dito – è stato messo al corrente e la situazione si è sbloccata in tempi celeri”.

La capitana Rackete aveva già violato il divieto di alt della Finanza ed era entrata nelle acque territoriali italiane.

“E’ avvenuto prima che arrivassimo noi. Io e i colleghi abbiamo favorito il dialogo: ‘Stiamo tutti calmi e vediamo se si riesce a trovare una soluzione’. E’ questo che abbiamo detto all’equipaggio e ai migranti. Ci siamo messi in contatto con Moavero e lui ha fatto il resto. Eravamo saliti a bordo per riportare a terra gente che aveva sofferto già abbastanza”.

Qual è l’immagine più forte che le è rimasta impressa?

“Da un lato aver vissuto i volti dei migranti, della grandissima dignità che hanno dimostrato in quelle ore. Dall’altro quello di Carola e dell’equipaggio, l’abbraccio che hanno riservato ai profughi quando hanno toccato terra. Ho visto i sentimenti veri”.

La capitana, però, si è spinta oltre con quella manovra azzardata. Ha rischiato di speronare una motovedetta della Finanza, qualcuno poteva farsi male.

“Se tutti quelli che erano a bordo della Sea Watch, ma anche i militari della Finanza, hanno rischiato grosso, è stata colpa di Salvini”.

Perché?

“Nelle ultime ventiquattr’ore prima dello sbarco – lo denuncerò in tutti i luoghi possibili, compreso il Parlamento – lui e i suoi collaboratori si sono resi irreperibili. Irreperibili per noi, per il Ministero degli Esteri, per tutte le istituzioni democratiche. Parlo delle ore successive all’iniziativa di Moavero, che aveva chiuso l’accordo con gli altri Paesi per la redistribuzione. Salvini ci aveva detto che superato quello scoglio ci avrebbe messo un minuto a farli sbarcare. Invece è sparito”.

Scusi, ma cosa c’entra con la manovra della Rackete?

“Dopo che giovedì pomeriggio la Finanza era venuta a bordo per notificare l’avviso di garanzia a Carola, nei migranti è aumentata l’aspettativa di uno sbarco in tempi rapidi. Ma gli unici a scendere sono stati un ragazzo che si è sentito male e suo fratello, un minore. Così è aumentata l’esasperazione, e qualcuno ha cominciato a credere che l’unico modo per venirne fuori era farsi male o buttarsi in acqua. Persino noi ci siamo dati i turni per vigilare su quei 40 disperati. Anche venerdì pensavamo di trascorrere lì la notte, ma poi la capitana ha cambiato i piani e ci siamo diretti verso il porto”.

Dove c’è stato un rischio di collisione con una motovedetta…

“Credevamo che ci fosse garantito un attracco ordinato. Invece la motovedetta si è trovata a eseguire un ordine di Salvini, e cioè, come dirà il giorno dopo il ministro, un nuovo divieto di sbarco. Assurdo. Ma non ho visto la minima volontà da parte della capitana di fare del male a nessuno. La manovra che ci ha portato dentro al porto di Lampedusa è stata tranquilla, perché la Finanza ci stava distante. Poi c’è stato un rischio in prossimità della banchina. Carola dice di aver commesso un errore e io le credo. Che motivo avrebbe di speronare una nave militare?”.

Salvini ha chiesto il vostro arresto?

“Se l’italiano non è un’opinione… Ha scritto che noi andavamo arrestati perché, essendo a bordo, eravamo illegali come la capitana e tutti quelli che avevano deciso di trasportare. L’idea che lui debba o possa far arrestare persone che svolgono le proprie funzioni democratiche – noi eravamo a bordo nel rispetto delle nostre funzioni parlamentari – è una cosa che ci riporta alla vigilia della dittatura fascista. Quando si arrestavano i politici solo perché facevano opposizione. Consiglio a Salvini di moderare il linguaggio. Il suo è un atteggiamento tipico del periodo pre-dittatoriale”.

E la sue è una guerra contro le ong ancor prima che contro l’immigrazione clandestina. Ce li vede questi nelle ong che scendono a patti coi trafficanti di esseri umani o con gli scafisti? Lei che è stato a bordo si sarà fatto un’idea di questa gente.

“Ero già salito su altre navi, ma per periodi più brevi. Da parte dell’equipaggio ha visto un atteggiamento di totale trasparenza nell’accettare la nostra presenza e di confrontarsi con noi costantemente. Ho avuto la sensazione di gente che ci crede per davvero, di volontari che stanno lassù e interpretano questo lavoro come una missione. La stessa missione che aveva la capitaneria di porto fino a qualche tempo fa, quando nessuno riteneva un atto criminale salvare le persone in mare. Si sono invertiti i ruoli. Chi salva le persone è un criminale, chi le lascia a mollo un super eroe”.

Una volta a terra siete stati accolti da qualche applauso ma anche da numerosi insulti. Di fronte a certi temi, esiste una spaccatura profonda e una deriva sociale?

“Disgraziatamente è diventato un derby fra chi sostiene una cosa e chi ne sostiene un’altra. Prima non era così. Ci si poteva dividere sui temi dell’economia, ma non su basi fondamentali come il riconoscimento del diverso, il rifiuto del razzismo e di ogni forma di prevaricazione. Gli italiani facevano quadrato come popolo. Io questa base comune non l’avverto più, ma vedo una divisione verticale che mi turba. Sulla banchina c’era chi applaudiva e chi insultava in modo becero. Alcuni leghisti, su Facebook, hanno alimentato la fake news del gommone coi parlamentari carico di cibo. Offendono, imbrogliano e molti sono diventati anche professionisti del benaltrismo: ‘perché non eravate dai terremotati di Amatrice o dai lavoratori della Whirlpool?’. Beh, noi ci occupavamo concretamente di quelle cose quando eravamo al governo e lo facciamo anche adesso da opposizione. Ma ciò non toglie che non possiamo occuparci di entrambe le cose – da un lato i temi sociali, da un lato i poveri migranti – senza dover generare per forza un cortocircuito”.

Quindi non c’è nessun calcolo politico dietro la volontà di salire sulla Sea Watch?

“Faremmo volentieri a meno di passare le nostre giornate a bordo della Sea Watch. Vorremmo occuparci dei temi veri del Paese, come l’economia che va a rotoli, la disoccupazione al Sud, l’inquinamento del Mezzogiorno. E invece siamo costretti a occuparci di un non-problema, perché stiamo ragionando di numeri limitati e non certo per merito di Salvini. Ma la cosa più incredibile, mentre noi eravamo a bordo e lui chiudeva il porto, è che attorno a noi, da Mazara a Lampedusa, arrivano ovunque barchini carichi di migranti. Ecco perché quella di Sea Watch mi pare una messinscena. La cosa incredibile è che una parte di italiani ci caschi”.

Non è che anche voi vi siete prestati al gioco?

“E’ chiaro che esiste il rischio di diventare funzionali a questo giochino del Ministro dell’Interno, perché se vai sulla nave fai salire l’attenzione mediatica e così via… Ma l’alternativa qual era? Lasciare la gente in quelle condizioni solo per non alimentare la comunicazione di quel bandito? Bisogna accettare il fatto che ci siano controindicazioni, ma per noi vengono prima le vite umane”.

Nel Pd, il partito che lei dirige a livello regionale, è emerso che qualcuno dei compagni mal sopporti la sua sovraesposizione mediatica. Dalla Sea Watch alle bonifiche, queste battaglie “personali” non porterebbero risultati ai “dem”.

“C’è gente fuori dal mondo. A differenza di alcuni miei colleghi di partito, io non mi appassiono ai codicismi, alle commissioni di garanzia, alle burocrazie… Trovo più interessante occuparmi di Sea Watch, inquinamento, discariche da bonificare. Sa che quando si scarica percolato o gas nell’atmosfera c’è il rischio che aumentino i tumori o i bambini nascano con qualche malformazione? La mia passione per la politica è quella che mi permette di prendere le difese dei lavoratori della Cmc, che sono in crisi e bloccano i lavori nei cantieri perché l’azienda sta fallendo. E succede perché il governo di Roma non prende provvedimenti. Ecco, io ho sempre interpretato la politica in questo modo, andando per strada. Mi spiace, ma non cambierò proprio adesso”.

Qual è la sensazione più spiacevole che le ha lasciato l’esperienza della Sea Watch?

“Che molta gente, che non ha avuto l’opportunità di fare la mia stessa esperienza, parli dei migranti come di palestrati e dei volontari che salvano vite come di trafficanti di uomini. Questo mi fa rabbia”.