Il caso Mattei cambia di segno. Un numero impressionante di giornalisti, di pentiti di mafia, di tecnici e di magistrati pistaroli, come si dice con espressione agghiacciante divenuta proverbiale, deve cambiare la parola chiave, di contenuto terroristico, che ha circondato l’incidente aereo in cui morì il presidente dell’Eni Enrico Mattei, il 27 ottobre del 1962 nel cielo di Bascapè, Milano. Devono scrivere “maltempo” dove era stato scritto, in articoli, libri, fascicoli giudiziari, film e molto altro, e per più di cinquant’anni, “complotto”. Una controinchiesta di Lupo Rattazzi, pilota, studioso degli incidenti aerei, fornisce una spiegazione attendibile e drammatica, ma piana e lucida, esente dalla febbre pistarola dell’omicidio politico del signore del petrolio e della politica italiani, di che cosa sia successo e perché sia successo in quel giorno fatale che per mezzo secolo ha alimentato una giallistica a sfondo criminale, ingannando una quantità di osservatori e anche persone in buona fede, con una tesi che non regge, anche se nutrita di cento collegamenti politici e mitologici, anche se connessa ad altri casi celebri, come il rapimento di Mauro De Mauro, anche se intrisa del mistero tipico delle storie di matrice “petrolifera” e “mafiosa”, in un contesto di ipotizzate coperture della verità in nome della ragion di stato o degli interessi delle Sette Sorelle del petrolio o dei francesi o di chissà quale parte del sistema politico italiano e mondiale. Rattazzi non solo ha studiato la faccenda ma la racconta in un’intervista al Corriere come la prova di una mistificazione di successo, che ha travolto la elementare verità delle cose, da lui accertata con una documentazione meticolosa che arriva perfino all’acquisto dell’aereo gemello del Morane-Saulnier, sospettato di essere stato pilotato in segreto da un pilota dell’Eni e custodito in un hangar per un elaborato e complesso atto di sabotaggio consistente nell’approntare un meccanismo di scoppio attivato dall’apertura del carrello. Continua su ilfoglio.it