Nel lento processo di erosione della Lega di Matteo Salvini, oltre a Salvini stesso, potrebbe giocare un ruolo decisivo Cateno De Luca, sindaco di Taormina. Dalla perla dello Jonio, infatti, è iniziato il lento disfacimento del Carroccio, che lo stesso segretario e vicepremier, qualche anno fa, tentò di trasformare in un partito nazionale. Non più la rappresentazione di Alberto da Giussano o via Bellerio – anche se il raduno di Pontida, un po’ ammaccato, resiste – bensì un contenitore di esperienze (anche meridionaliste), che per un breve periodo fruttò dividendi: alle Europee del 2019, infatti, Salvini uscì trionfante dalle urne, strappando nella circoscrizione Isole ben due europarlamentari (e il 20%).

Un’altra epoca. Oggi la tenuta della Lega è minata (anche) dall’intraprendenza di De Luca, principale oppositore di Schifani all’Ars. Scateno, dopo aver fatto visita all’ex ministro Roberto Castelli l’anno scorso, ci ha stretto un’alleanza per le Europee. Fermi tutti. E’ difficile che l’intesa trasversale fra nord e sud, nel nome dell’autonomia e del federalismo, determini risultati allettanti (tanto meno il 4% utile a superare lo sbarramento). Ma nella dimensione di questo tentativo va misurato il passo indietro della Lega, che ormai da mesi, forse dal Papeete in poi, ha smesso di essere una forza politica attrattiva. E in Sicilia è preda delle proprie ansie e delle proprie divisioni.

La frana provocata dall’arrivo di Sammartino, rispetto ai salviniani della prima ora (qualcuno si ricorda ancora di Angelo Attaguile?), si è riproposta qualche mese fa col nuovo sodalizio fra Salvini e Raffaele Lombardo, leader del Mpa, che ha polarizzato il Carroccio. Fino agli estremi. De Luca è solo un effetto collaterale. Si era preso la Lega per far vincere le elezioni di Messina al “suo” Federico Basile, ma non aveva mai ceduto alle lusinghe di Salvini, rifiutando qualsiasi proposta di adesione -specie al tempo della pandemia – e invitandolo a non presentarsi per la campagna elettorale.

Oggi Scateno compie un’operazione che sa di beffa: sfruttando il “salvagente” della Meloni (che gli evita, in pratica, di raccogliere le firme per partecipare alle Europee), sigla un accordo con l’ex ministro della Giustizia Roberto Castelli, fondatore del Partito Popolare per il Nord. In rotta con Salvini. Probabilmente un gruzzoletto di voti, in Padania, riuscirà a garantirlo. Ma Castelli è soltanto una testa di ponte per arrivare a Gemonio e a Umberto Bossi, col quale è probabile che De Luca si ritroverà a parlare dopo i primi contatti del settembre scorso (“Era contento di incontrarmi perché la sua visione della Lega non è quella attuale”, ha detto il leader di ScN). Volti di un passato che non tornerà, è chiaro; ma pur sempre dei leghisti un po’ ribelli, che farebbero di tutto per farla pagare al segretario e alla sua svolta “centralista”. Il primo passo, per Castelli, è stato schierarsi con Cateno.

Ma che al Sud la Lega viva una fase di sprofondo rosso è testimoniato dal mancato accordo con l’Udc. Il Carroccio credeva di poter dare nuova linfa alle sue ambizioni, federandosi a un partito di cultura moderata come quello di Cesa (personaggio da sempre in cerca d’autore). Ma Salvini forse non ha fatto bene in calcoli: perché in realtà, da queste parti, l’Udc è scomparso da tempo. Alle Regionali aveva trovato ospitalità nella DC di Cuffaro con l’idea di separare i gruppi all’indomani del voto; ma i suoi esponenti sono stati risucchiati dall’edizione meno vintage della Balena Bianca. E dell’Udc non sventola neppure una bandiera: Turano e Lo Curto, nel Trapanese, hanno traslocato nel Carroccio; persino il sindaco di Palermo Lagalla, dopo aver colto l’antifona, s’è dichiarato ‘civico’; e anche Cordaro – ricordate l’ex assessore al Territorio e Ambiente, Toto Cordaro? – dopo una breve apparizione con lo Scudo, se l’è data a gambe levate, scegliendo Fratelli d’Italia. Insomma: chi avrebbe dovuto evitare il precipizio a Salvini?

La cosa paradossale, però, è che sia stato proprio Salvini a fare un passo indietro; e non per i limiti dei nuovi compagni d’avventura, ma perché “Matteo in questa fase è così debole che sembra non avere agibilità politica all’interno del suo partito”. Queste parole, attribuite dal Foglio proprio a Lorenzo Cesa, sono la riproduzione plastica dell’umiliazione politica. “Per fare questa operazione – come si legge nell’articolo di Simone Canettieri – Salvini aveva promesso il prestito di una manciata di leghisti a Cesa, tutti eletti nel sud, pronti a traslocare per arrivare alla creazione di una componente centrista, con tanto di simbolo, nel gruppo Misto”. Ma anche il “riconoscimento della pari dignità e della rappresentanza dell’Udc nella lista della Lega per le prossime elezioni politiche”. Come? Con quattro candidati alla Camera dei Deputati e due al Senato della Repubblica “in posizioni favorevoli”. Di fronte a tale sfarzo – cioè “regalare” sei posti ai centristi – molti leghisti avrebbero digrignato i denti e ottenuto di sospendere le operazioni. Se non c’è posto per noi, figurarsi per gli altri. Anche alle Europee la Lega dovrà retrocedere da 28 parlamentari a meno di una decina e ha già arruolato Aldo Patriciello, mr. Preferenze, in Campania (con Vannacci possibile capolista in tutti i collegi).

Se in Sicilia ha ancora un certo seguito, il partito lo deve certamente a Luca Sammartino, un campione di preferenze nonché vicepresidente della Regione; e a Raffaele Lombardo. Anche se gli accordi con l’ex governatore, proprio per gli ostacoli posti da Sammartino, cominciano a vacillare. Il Mpa sembrava sul punto di poter sostenere Annalisa Tardino per Bruxelles. Ma nelle ultime ore, come rivelato da Repubblica, l’obiettivo è schierare ai nastri di partenza un proprio esponente: il nome più gettonato è quello di Luigi Genovese, ex parlamentare all’Ars, ma soprattutto figlio dell’ex segretario del Pd, Francantonio. Segni particolari? Avere una marea di voti (nel Messinese). La corsa di Luigino diventerebbe temibile per la fedelissima Tardino, per il nuovo commissario Durigon e per tutti quelli che volessero provarci in qualche modo. Ma consentirebbe a Salvini di dare ancora un senso alla sua presenza nell’Isola. Solo a Salvini, perché la Lega è già scomparsa da tempo.