La sensazione è di essere rimasti con un pugno di mosche in mano. Un’altra volta. Il malumore tangibile dei 5 Stelle siciliani, all’indomani del giuramento del Conte-bis, è tutto in post di Ignazio Corrao, eurodeputato di Alcamo, uno di quelli che non s’è mai fatto mancare punti di vista “particolari”. E che anche stavolta se ne frega del politically correct. Dice quello che pensa, “senza paura delle conseguenze o condizionamenti sistemici che possono derivare da questa alleanza” con il Pd, che la maggioranza dei grillini ha condiviso. Non lui, perché “il mio timore resta vivo e fondato, questo è un governo di scopo che come unico scopo rischia di avere quello di far scomparire l’identità restante di quello sogno rivoluzionario a cui abbiamo dedicato i migliori anni della nostra vita e che si chiama Movimento 5 Stelle”.

Il Movimento si scopre simile ai partiti della Prima Repubblica. Si spartisce gli incarichi e si divide in correnti. C’è quella di Di Maio e Fraccaro, ci sono gli uomini di Fico, il generale Costa, diretta emanazione di Beppe Grillo, e persino una ministra di Casaleggio, quella all’Innovazione. Poi c’è la Sicilia. E qui il discorso va spacchettato. Nell’Isola – le Europee ne sono stata una piena testimonianza – il deus ex machina si chiama Giancarlo Cancelleri. Due volte candidato alla presidenza della Regione, ambiva a una poltrona da ministro. Non era il solo. Aveva dietro l’intera deputazione regionale, che all’ultima consultazione elettorale aveva sostenuto Ignazio Corrao (e non l’ex Iena Giarrusso). Una deputazione che a Palazzo dei Normanni ha numeri imponenti (i deputati sono venti, tondi tondi) e molti provvedimenti all’attivo. Una squadra da sempre coesa, e chiaramente orgogliosa per gli ultimi risultati elettorali – solo alla Regionali del 2017 hanno ceduto il passo all’armata di centrodestra – che hanno disegnato la Sicilia come un feudo grillino.

Un sesto dei parlamentari nazionali del Movimento 5 Stelle arrivano dalla Sicilia e per questo il M5S isolano si sarebbe aspettato un altro trattamento, e una considerazione più cospicua ai tavoli della trattativa con Giuseppe Conte e col Pd. A cui Cancelleri, invitato da Luigi Di Maio, aveva persino partecipato. Sperava nel Ministero alle Infrastrutture, ma poteva andar bene anche il Sud. Questione di sensibilità. Ma non è arrivato né l’uno né l’altro e ciò ha generato pensieri e malumori. Il più forte, e forse anche il più onesto intellettualmente, porta la firma di Corrao. Che dopo una lunga disamina, sui social, di quella che è stata la spartizione dei ministeri tre le due forze di governo, arriva dritto al punto: “Tutto ciò che ha un grosso peso per il meridione sta in mano al Partito Democratico. Le infrastrutture che avevamo noi (vedrete adesso come si farà il Tav) vanno alla De Micheli. Così come vanno al Pd il ministero per il Sud, Sanità (perdiamo le ottime Lezzi e Grillo), Affari regionali, Agricoltura e Pesca. Lo dico ironicamente ma lo penso sul serio: faccio i miei più sentiti complimenti a chi ha negoziato per il Pd, hanno fatto pesare un 18% quanto un 40%”.

Poi c’è anche un altro tipo di discorso: il ruolo da commissario europeo. Ci andrà Paolo Gentiloni, un altro del Partito Democratico. Corrao, al suo secondo mandato fra Bruxelles e Strasburgo, aveva covato qualche speranza. Così come Dino Giarrusso, appena eletto all’Europarlamento (fra l’altro dopo una battaglia a fil di voto con il collega “indigeno”): “Di Gentiloni non siamo contenti perché penso che sarebbe stato più giusto che fosse un commissario del M5s – ha spiegato a caldo l’ex Iena della tv – Coi miei colleghi avevamo chiesto di essere sentiti, di deciderlo insieme. Posso capire il fatto che alcuni miei colleghi, e anche io, non siano contenti”. Anche perché i Cinque Stelle, nel momento del bisogno, avevano soccorso la presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen, risultando decisivi – più del Pd – per la sua elezione. E avrebbero preteso, adesso, un segnale di riconoscenza.

Invece no, le trattative al ribasso di Luigi Di Maio – che ha giocato al rialzo solo per sé, e per garantirsi una presenza a Palazzo Chigi con il sottosegretario Fraccaro – ha danneggiato profondamente la Sicilia. Tanto che nel suo excursus, Corrao è durissimo: “Ma siete davvero contenti della composizione di questo governo? Proviamo a fare due calcoli. Chi ha negoziato per conto nostro si è seduto al tavolo con in dote il 35% dei parlamentari (piuttosto compatti e in maggioranza proveniente dal Meridione). Il Partito Democratico si è seduto con una rappresentanza di circa la metà (divisi in varie correnti). 333 parlamentari per il M5s e 166 per il Pd. Quindi a rigor di matematica ti aspetti di venir fuori con una proporzione 2 a 1 a favore del Movimento 5 Stelle”. Ma “se tieni il Commissario Europeo, e vai a prendere qualche ministero considerato più “pesante” (Economia, Interni), ci sta che la proporzione numerica scenda e si avvicini a 1 a 1”.

Macché. Il Pd ha avuto Gentiloni commissario e nove ministeri (contro dieci), di cui alcuni (Infrastrutture, Sanità, Economia, Difesa) pesantissimi, finendo per “lottizzare tutto ciò che ha rilevanza europea”. Mentre ai Cinque Stelle sono toccate le briciole. L’unica siciliana in lizza – togliendo l’ex dj di Mazara del Vallo, Alfonso Bonafede, che resta alla Giustizia – è Nunzia Catalfo. La presidente “secchiona” della commissione Lavoro al Senato, collaboratrice fidata di Luigi Di Maio. Una sorta di compensazione per la perdita di Giulia Grillo (anche lei etnea), ma espressione di un’ala (la fronda catanese) che ha poco da spartire con Cancelleri e la deputazione regionale. Anche se il vicepresidente dell’Ars ha fatto di tutto per non apparire adirato (“Si tratta di una nomina strameritata” ha detto in un’intervista a Live Sicilia), si tratta comunque di un colpo al cuore, dell’ennesimo smacco che in Sicilia – da Caltanissetta a Palermo – si sono legati al dito. Non sarà mica che Giggino viene a raccattare voti da noi e, poi, delega il potere altrove?

Un ulteriore banco di prova è rappresentato dal passaggio che si consumerà da qui a una settimana con il riempimento delle caselle di sottosegretari e viceministri. Stando agli ultimi rumors, Cancelleri potrebbe rifiutare un incarico probabile, mentre sono pronti a entrare nel sottogoverno il messinese Francesco D’Uva, già in luce da capogruppo alla Camera durante trattativa e consultazioni, e il palermitano Giorgio Trizzino, che ha sempre sostenuto i principi di un accordo col Partito Democratico. Ma competono pure altre due onorevoli catanesi: Laura Paxia e Tiziana Drago. Resta, comunque, quel terribile fastidio di aver fallito l’assalto alla poltrona che conta. Non ditelo ai Cinque Stelle di Sicilia che questo è un governo che privilegia il Sud.