La rinuncia di Antonello Cracolici a correre per la segreteria regionale, in Sicilia, potrebbe somigliare a un momento chiarificatore: a poche ore dalla consegna delle candidature, l’unica voce è quella del segretario uscente Anthony Barbagallo. Ma è durante gli anni di Barbagallo che il Pd siciliano ha dovuto subire le umiliazioni più feroci: dall’elezione al Senato dell’ex segretaria della Cisl, la genovese Annamaria Furlan (transitata a Italia Viva da qualche settimana), passando per il repentino addio di Caterina Chinnici, in direzione Forza Italia, dopo la candidatura ala Regionali del 2022. Una delle peggiori sciocchezze mai fatte: l’ex magistrata si arrese a Schifani senza fare campagna elettorale e senza dire una parola nei confronti del governo di centrodestra che aveva imperversato per cinque anni con neanche una riforma.

Oggi Barbagallo – eletto nel nulla di Morgantina (anno 2020) dopo un altro congresso farlocco (che portò alla rimozione di Davide Faraone) – parla di “metodo”. Lo fa da mesi. A partire dalla minaccia di presentare un esposto in Procura dopo che il parlamento al gran completo decise di spartirsi 60 milioni di “mance” in Finanziaria: “L’intransigenza, su temi come questo, è una necessità per un Pd che vuole essere baricentro dell’alternativa al centrodestra e a Schifani. Non possiamo essere né sembrare titubanti”, ha detto ieri in una intervista a ‘La Sicilia’. Barbagallo rifarebbe quella denuncia, anche se gli è costata una levata di scudi da parte del gruppo parlamentare dell’Ars (i deputati s’erano seduti al tavolo delle negoziazioni e avevano ottenuto delle prebende anch’essi).

A Barbagallo vorrebbero far pagare questa intransigenza ‘romana’ (nel 2022 rinunciò al seggio a Palazzo dei Normanni per volare a Montecitorio). All’Ars stanno tutti dall’altra parte, fatta eccezione per un paio di esponenti: Dipasquale e Safina. Valentina Chinnici, a cui è stato offerto il ruolo di vicesegretario, è ancora in dubbio (fa parte della corrente di Gianni Cuperlo); mentre Antonello Cracolici ha svelato le proprie intenzioni durante una conferenza stampa organizzata ieri. In cui, a seguito del messaggino indirizzato alla segretaria Schlein, sembrava voler annunciare la propria corsa per la segreteria, e invece: “Il mio è stato un tentativo per capire se ci fossero le condizioni per una soluzione unitaria, ma sono passati 22 giorni e ho avvertito imbarazzanti silenzi e un certo disinteresse da parte del Nazareno. Se il destino del Pd in Sicilia non interessa alla segreteria nazionale, vada come deve andare, io ce l’ho messa tutta”.

Cracolici, sempre molto pittoresco nelle metafore, ne ha tirata fuori un’altra per mandare un messaggio a Elly, del cui pensiero – in Sicilia – è interprete lo stesso Barbagallo: “Rischiamo di diventare una piccola filiale del partito nazionale. Di solito, prima o poi, le filiali chiudono”. Il ritiro di Cracolici lascia una prateria alla sinistra di Barbagallo. Una prateria che si farà fatica ad occupare nel poco tempo che manca alla presentazione dei nomi (dalle 9 dell’8 maggio alle 12 del giorno seguente), perché la candidatura per un ruolo così ingombrante non s’improvvisa. La prateria, attualmente, è un bivacco di dem scontenti e desiderosi di vendetta. Anche sulle regole d’ingaggio, qualche mese fa, era cominciata una disputa senza quartiere – sfociate in un principio di rissa – per stabilire se a eleggere il nuovo segretario dovessero essere gli iscritti o i cittadini (nei gazebo).

Il Partito Democratico fa un gran parlare di cariche, ma ha dimenticato come si governa (lo fece con Crocetta l’ultima volta, sono passati otto anni). E non parla più nemmeno al proprio elettorato. E’ vittima di un contorsionismo sfrenato che non ha avuto fortuna nemmeno con gli esperimenti civici: lo era Caterina Chinnici, scelta con le primarie nel 2022 affinché contendesse il governo della Regione a Schifani. Non solo finì terza, ricordata per l’anonimato con cui condusse la campagna elettorale. Ma nel giro di un anno passò addirittura ai rivali, cioè nel partito del governatore in carica, grazie ai buoni uffici di Tajani. Con la maglia degli azzurri – una giustizialista nel partito dei garantisti – è riuscita a ottenere la terza affermazione al parlamento europeo. Anche a livello locale è andata malissimo, con le sconfitte (senza nemmeno lottare) alle Amministrative di Palermo e di Catania. Mentre alle ultime provinciali è arrivato un sospiro di sollievo con la vittoria di Capizzi a Enna, favorita dai veleni interni a Forza Italia.

Ma non c’è molto altro da segnalare, se non questa frammentazione che ha portato Barbagallo verso un progetto di riconferma (si chiama “Rigeneriamo il Pd”, come se a governarlo negli ultimi anni fosse stato qualcun altro) e Cracolici – attuale presidente dell’Antimafia – confinato in panchina. Nonostante i giornali avessero parlato di un migliaio di firme per sigillare la sua candidatura. E non ci sono neppure i segnali di un potenziale risveglio: l’unico, per la verità, è arrivato all’indomani dello scandalo dei referti istologici all’Asp di Trapani, con alcune delegazioni provinciali in visita negli ospedali per dare prova delle carenze note a tutti. Per il resto, anche le iniziative più di sinistra, come il sostegno alla povertà, è diventata prerogativa del centrodestra: Schifani ha finanziato 30 milioni alle famiglie che si trovano in condizione di disagio sociale ed economico (6.893 le istanze finanziabili, un migliaio rimarranno a bocca asciutta per esaurimento fondi). Persino i giovani dem si sentono tagliati fuori dalle iniziative del partito e reclamano un posto, anche se ad avercelo assicurato sono spesso e volentieri i papi stranieri (come la Furlan, di cui già s’è detto).

“Credo purtroppo che si andrà allo scontro e temo che questo sarà un brutto congresso che non finirà con l’elezione del nuovo segretario”, ha detto ancora Cracolici. “Il tema non è eleggere il segretario, ma scegliere il modello del partito che vogliamo costruire tutti assieme”, aveva affermato Barbagallo. A dirigere le operazioni, però, sarà il commissario inviato dalla Schlein: Nico Stumpo. Almeno l’arbitro dovrebbe essere imparziale.