Anthony Barbagallo ha vinto quella improbabile vicenda che da mesi si svolge nel generale disinteresse e che hanno chiamato “congresso”. Barbagallo rimane così alla guida del Partito democratico in Sicilia.
Ha vinto con il 60%, come egli dichiara, o con meno del 50% come sostengono altri. Ché i numeri, all’interno di quella forza politica, pare siano meno che un’opinione. Se a loro si fosse fatto riferimento, se se ne fosse tenuto conto, il nostro non avrebbe dovuto essere riproposto.
Forse vale la pena ricordare gli “straordinari” successi che a lui si intestano. Nelle elezioni nazionali dell’ottobre del 2023, nell’Isola il Partito democratico ottenne il 12% a fronte del 19,4% in campo nazionale. Nelle regionali dello stesso anno prese il 12,77% e, con Caterina Chinnici candidata alla presidenza della Regione, è arrivato terzo dopo la destra e Cateno De Luca. Poco dopo, come è noto, Chinnici, con rigorosa coerenza, ha lasciato il partito transitando felicemente in quello che fu di Berlusconi.
Alle ultime elezioni europee il Pd ha ottenuto il 14,35% nella nostra regione, a fronte della Sardegna, che con la Sicilia compone il medesimo collegio elettorale, dove ha avuto il 24,16%, in linea con la media nazionale. Nelle recenti elezioni provinciali è risultato del tutto irrilevante, solo ad Enna, con i voti di una parte di Forza Italia, riuscendo ad eleggere un suo rappresentante e non provandoci neppure in tutte le altre realtà.
Se si prescinde da Trapani, non esistono un capoluogo isolano né una città di media grandezza amministrati dal Pd.
Se poi ci si riferisce alle elezioni locali, con il 30% di Genova e il 40% di Ravenna, sembra che qui si sia in un mondo diverso, in una realtà capovolta nella quale viene premiato chi perde.
Insuccessi elettorali a parte, che non è poca cosa, è difficile trovare una sola proposta, una sola iniziativa su cui, negli anni nei quali è stata guidata da Barbagallo, quella forza politica si sia caratterizzata. È impossibile individuare una sola battaglia su cui abbia saputo richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica, mobilitato i suoi iscritti, che in Assemblea l’abbia distinta chiaramente dalla maggioranza di destra. Lì è rimasta stabilmente collocata in quell’indistinto magma che contiene tutti i partiti, quelli di governo e quelli che dovrebbero fare l’opposizione, di fatto uniti nella gestione compromissoria di ciò che resta delle risorse regionali. Se un partito non ha una linea, se è privo di una identità riconoscibile, se non riesce ad essere individuato con un proprio profilo, il suo gruppo parlamentare ne risulta segnato, e ciascuno dei suoi componenti finisce per pensare alla propria sopravvivenza, partecipando alla spartizione, coprendo il nulla della politica con le convenienze personali e di gruppo.
E allora?
Ci saranno state delle ragioni che alla ragione comune sfuggono, per indurre il gruppo dei sostenitori di Barbagallo a tirar dritto, a rifiutare ogni alternativa sulla quale realizzare l’unità da individuare al proprio interno stesso. Perché, almeno a quanto si sa, i cosiddetti bonacciniani e orfiniani – Dio mio, che neologismi! – non hanno chiesto di esprimere uno di loro ma di trovare tutti insieme il candidato all’interno del gruppo che fa capo alla segretaria nazionale. Del resto, scegliendo di far votare i soli iscritti, con un tesseramento controllato per lo più da chi ha gestito il partito, non sarebbe stata possibile una competizione alla pari, che comunque sarebbe risultata falsata da un arbitraggio di parte.
Ci saranno state delle ragioni che sfuggono alla logica più elementare per giustificare il sostegno netto e determinato di Schlein e dei suoi al vincitore della più bizzarra competizione interna ad una forza politica, garantito peraltro da regole appositamente costruite.
“Testardamente unitaria”, ripete spesso la stessa Schlein. Testardamente divisiva è stata per il partito in Sicilia.
Ancora una volta, quale logica l’ha indotta ad accettare che qui a votare fossero chiamati esclusivamente gli iscritti, evitando le primarie, il metodo attraverso il quale era prevalsa su Bonaccini, prendendo così in mano il partito, avviando un processo di rinnovamento ed ottenendo risultati apprezzabili nelle recenti competizioni?
Qual è il motivo per il quale si è consentito di utilizzare il voto palese e quindi controllato, come usa nei sistemi totalitari, in contrasto con ciò che avviene in tutte le istituzioni quando si devono scegliere delle persone e in violazione dello stesso statuto del partito?
Come si spiega che tutti i ricorsi siano stati respinti senza essere esaminati e che i tentativi di trovare insieme un candidato venissero stoppati in modo sbrigativo e senza appello?
Sono domande alle quali non ci sono risposte. Almeno utilizzando sempre le categorie della logica e del buonsenso. Forse a pensar male talora ci si azzecca. Probabilmente a Roma alcuni sono convinti che qui in Sicilia non esistano le condizioni per costruire un partito competitivo rispetto all’attuale maggioranza. Ché nella nostra terra prevale una antropologia che ci rende diversi e inidonei a governare o addirittura a tentare di farlo. E allora prevale un’esigenza: se si deve perdere, si garantiscano almeno gli amici, i sodali. Si sia certi di potere comporre le liste elettorali, magari lasciando alle minoranze il solo diritto di tribuna.
Se la nave inevitabilmente è destinata a schiantarsi sugli scogli, si assicurino ad alcuni le scialuppe per arrivare in porto. Nei porti di Montecitorio, di Palazzo Madama e di Sala d’Ercole.
Vorrei sperare di sbagliarmi, di essere animato da pregiudizio o dalla mancata conoscenza di ciò che realmente è avvenuto. Mi piacerebbe poter ottenere una motivazione convincente da Peppe Provenzano, una persona che stimo, che svolge un compito importante nel partito come responsabile della sua politica estera, che è stato ministro della Repubblica e che è rimasto silenziosamente e anche lui testardamente impegnato a sostegno di Barbagallo.
Escludo, naturalmente, che Provenzano sia stato guidato dalla certezza che in ogni caso avrebbe diritto ad una scialuppa per salvarsi dal possibile naufragio.
Al di là di questa sorta di “guerra del secchio”, oltre le vicende che non suscitano l’interesse della gente, al di fuori dei cosiddetti circoli, per lo più inesistenti, c’è una dimensione che richiama la politica nell’Isola. C’è o dovrebbe esserci l’interesse a bilanciare, se non a creare, un’alternativa a chi governa l’Isola, a modificare i rapporti di forza per renderli meno squilibrati. Ci sarebbe l’esigenza di dar vita ad un partito in grado di riattivare il rapporto tra la politica e la nostra gente, dando dignità alle istituzioni, voce a chi ha smesso di sperare di farsi sentire, protagonismo ad una terra che conta sempre meno nel panorama nazionale.
Barbagallo ha vinto ma a perdere sono stati il buonsenso e lo stesso Partito democratico.