Anthony Barbagallo è stato riconfermato alla guida del Partito Democratico in Sicilia. Era l’unico candidato in un congresso segnato più dai ricorsi e dalle rinunce (come quella di Cracolici, dopo le accuse alla segretaria nazionale Elly Schlein) che dal dibattito politico. Il dato ufficiale parla di 7.500 voti a favore su 9.500 votanti, pari all’80%. Ma se si guarda ai 16.500 aventi diritto, la percentuale si riduce al 48%. Un dettaglio non da poco per le correnti legate a Bonaccini e Orsini, incapaci però di esprimere una alternativa.

La situazione è resa ancora più caotica dalle dimissioni di Filippo Marciante, presidente della Commissione regionale di garanzia, e dal cortocircuito istituzionale che ha coinvolto anche l’organismo nazionale: quest’ultimo ha sconfessato la decisione della commissione siciliana di autoescludersi dall’esame dei ricorsi, definendola “errata e da riformare”. Intanto, l’avvocato messinese Giuseppe Vitarelli ha annunciato l’intenzione di rivolgersi all’autorità giudiziaria.

In questo clima, il Pd si mostra sempre più chiuso e autoreferenziale. La scelta di non celebrare le primarie, rinunciando a un vero confronto interno e a un’apertura verso l’esterno, appare emblematica. E il partito, più che discutere di visioni e progetti per la Sicilia, sembra ripiegato su se stesso.